Il rating si abbassa e gli USA temono una seconda recessione
08 Agosto 2011
Nel 2008 Barack Obama è stato eletto scandendo lo slogan elettorale “Yes we can”. Il primo presidente nero degli Stati Uniti voleva convincere tutti che l’America è ancora il posto dove tutto può succedere. Infatti l’inimmaginabile si è materializzato. La bocciatura di Standard & Poor’s era impossibile anche per i più visionari soprattutto se si pensa che l’intero sistema finanziario mondiale è fondato sulla certezza americana, sul dogma “Usa uguale AAA”, la scure della più importante agenzia di rating, apre una nuova fase nella storia economico-finanziaria del mondo.
Il dollaro rischia di non essere più il padrone del mondo e le conseguenze potrebbero essere pesantissime. La nota di spiegazione del declassamento diffusa da Standard & Poor’s è chiarissima. Si tratta di una bocciatura politica. Lo scontro all’arma bianca sull’innalzamento del tetto del debito hanno mandato un grande segnale di incertezza (che è come la peste per i mercati). Le settimane di stress, a livello nazionale e globale, sul debito non hanno giovato alla salute dell’America. Anzi, hanno posto un enorme interrogativo sulla credibilità del governo di Barack Obama, pressato più e più volte dal presidente della Camera John Boehner e messo con le spalle al muro dall’intransigenza dei Tea party. I democratici non hanno voluto toccare la previdenza sociale e i repubblicani hanno rifiutato ogni contrattazione sul sistema fiscale. Il rifiuto del compromesso e l’intransigenza delle due parti hanno dominato a lungo il dibattito. La balbettante ripresa economica avrebbe avuto bisogno di un “accordo di pace”. Serviva la certezza che la Casa Bianca e il Congresso avrebbero fatto di tutto per spingere il Paese lontano dalla recessione, lo spettro che si aggira sulla prima economia del mondo. Invece gli Usa hanno sfiorato il default di poche ore.
Il declassamento del debito a stelle e strisce avvicina l’incubo di un nuovo tuffo nelle acque torbide della stagnazione: la tanto temuta doppia recessione. Nei prossimi mesi si potrebbe avere una seconda caduta dei principali indicatori economici dell’economia statunitense, dopo una breve fase di ripresa: è quella che gli economisti chiamano appunto double dip recession o “recessione a forma di W”, dalla forma dei grafici che raffigurano l’andamento del prodotto interno lordo o degli investimenti. Una situazione simile, negli Stati Uniti, si è già verificata in passato: ad esempio agli inizi degli anni Ottanta, quando l’economia fece pessimi risultati nel 1980, crebbe molto nei primi mesi del 1981 e tornò in crisi dalla seconda metà di quell’anno alla fine del 1982.
Ma in termini concreti quali sono le conseguenze del reato di lesa maestà che S&P ha commesso contro la regina dell’economia globale? l taglio – come ha sottolineato Jp Morgan – comporta, per le casse del governo federale una spesa in interessi maggiore di 100 miliardi di dollari l’anno, con tutto quello che ne conseguirà. Nel frattempo, per l’economia reale, i costi del credito per quasi tutti i mutuatari americani sarà più alto. Investimenti e riflessi sull’occupazione, non dovrebbero mancare a farsi sentire. Lo stesso dollaro – già attaccato nei mesi scorsi nella sua veste di divisa di riferimento del sistema globale, è destinato a subire nuovi attacchi. Ma la conseguenza più umiliante per la superpotenza americana è già arrivata. La Cina, aspirante superpotenza globale, ha criticato aspramente gli Stati Uniti per il rischio di default e lo stallo nelle trattative per scongiurarlo. Una bella lavata di capo che non è solo una risposta alle accuse di sottovalutazione dello yuan per cui i cinesi sono statti bacchettati per un intero anno dal segretario del Tesoro Tim Geithner e da Obama. I cinesi non posso certo gioire per le sventura americane. Pechino teme che il virus della debolezza americana possa mettere in pericolo l’ascesa dragone asiatico. Nei forzieri della Repubblica popolare sono stipati 1.160 miliardi di dollari di debito Usa. La Cina è convinta che a un deprezzamento del biglietto verde e il declassamento del debito americano siano una manovra ai sui danni. Un dollaro svalutato ridurrebbe il valore dei treasuries bond nelle mani dei cinesi. Ma il vero spauracchio della Cina è quello di un’America attanagliata dalla recessione a dei mercati finanziari depressi si. Si creerebbe uno tsunami capace di attraversare il Pacifico per travolgere il regime comunista. Il consenso della dirigenze comunista si fonda essenzialmente sulla promessa dell’eterno boom del Pil. Ma se l’America non riprende a correre la formula vincente cinese basata su salutazione ed esportazioni non funziona più. Uno scenario a tinte fosche che è comparso all’orizzonte con l’umiliazione del dollaro.
Ma l’umiliazione dell’”impero americano” per mano della più grande delle tre sorelle della finanza mondiale porta con se una conseguenza positiva. Le agenzie di rating hanno commesso madornali errori ma continuano a dettare leggi a governi e cittadini di tutto il mondo. I grandi della terra questa volta sembrano non voler perdere tempo e si stanno organizzando per cercare di varare una riforma dei mercati finanziari. L’unica soluzione per lasciarsi definitivamente alle spalle questa crisi.
Giampaolo Tarantino