Il rating tradito dalle leggi che frenano la concorrenza

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Il rating tradito dalle leggi che frenano la concorrenza

15 Dicembre 2008

In un contesto nel quale la vulgata antiliberale  (nella migliore delle ipotesi) cade nel misunderstanding  dell’attuale crisi, ferro e fuoco si scagliano anche contro le agenzie di rating. È indubbio che queste non abbiano affatto brillato per lucidità di rating addirittura fino alla vigilia di ingenti fallimenti bancari, ma per capire come far funzionare meglio il sistema, l’analisi dovrebbe acutizzarsi e spogliarsi dal sempre verde interesse di espandere il potere su ogni sfera dell’agire umano.

Già nel 2007 il presidente Sarkozy aveva mostrato la voglia di rivederne l’assetto. Qualche settimana fa il G20 ha registrato l’unanimità dei potenti del mondo per esercitare una più “forte sorveglianza sulle agenzie di rating”. In questi mesi i provvedimenti in ballo riguardano report periodici che le agenzie dovrebbero fornire alla SEC (l’Autorità di Borsa americana) e documentazioni che rivelino e motivino i criteri di valutazione del merito creditizio. Cercando poi di eliminare i conflitti d’interesse si vieta che a pagare il servizio offerto dalle agenzie siano le stesse aziende che poi vengono valutate, dovendo così traslare obbligatoriamente il costo sugli investitori o sulla Sec stessa, e quindi sui contribuenti. Le nuove regole non dimenticano di proibire anche i regali superiori al valore di 25 dollari da valutato a valutatore. È indiscutibile che queste procedure alzino i costi per gli attori del sistema e per le casse dello Stato. E che dire invece di possibili conflitti di interesse tra Sec e agenzie di rating?

Tra i politici il coro sembra unanime, gli economisti si accodano con eccezione di pochi come Lawrence H. White e George Selgin che tentano un approccio non positivista e s’interrogano se convenga davvero che ad occuparsi di tutto ciò sia la politica.

Già adesso per operare da agenzia di rating è necessaria un’autorizzazione della Sec, che detiene così il diritto di decidere chi può dare voti e consigli sul mercato azionario. La conseguenza quindi è una forte barriera (con forza di legge) all’ingresso per nuovi potenziali concorrenti delle “tre sorelle”. In questo sistema è lecito dubitare che le agenzie abbiano un effettivo interesse a lavorare virtuosamente, visto che il loro oligopolio è saldamente protetto per legge. Se non ci fossero ostacoli legali all’entrata, tutti gli attori sarebbero costantemente pressati da una forte concorrenza, attuale e potenziale, tale che ogni volta che un rating si rivelerà errato questa si vedrebbe sottrarre fette di mercato.

L’anno scorso un gruppo di parlamentari italiani ha chiesto un intervento in questo senso alla Merkel (allora presidente di turno del G8), la quale voleva aprire un’inchiesta sulla funzionalità delle agenzie in termini di valutazione del management e gestione dei conflitti di interesse. Mettere sotto inchiesta comunitaria delle aziende private che hanno offerto valutazioni, pareri, sembra un non-senso. Se le valutazioni si dimostrano errate dovrebbe essere il mercato a sanzionare e non un autorità politica. Però anche qui la legislazione è intervenuta. Lo scambio infatti non avviene per libera contrattazione, la Sec ha stabilito che il rating delle tre sorelle sia un requisito obbligatorio senza il quale non si possono emettere titoli e non ci si può quotare. Esistono poi dei vincoli di rating per la composizione dei portafogli dei fondi pensione e per finire Basilea 2 obbliga le banche a patrimonializzazioni correlate anche al loro rating. Tutte misure che bloccano l’ingresso di nuovi attori e portano acqua ai mulini già sul mercato.

Insomma, rifuggendo dagli sbandieratori di modelli perfetti, è però ragionevole pensare che il sistema migliore sia quello che punti sui naturali incentivi che esisterebbero in un mercato davvero libero, basta non annullarli.  Poi si può anche ipotizzare che a Fitch, Moody’s e S&P non sia dispiaciuto il loro oligopolio protetto. Adesso però è ora che tutti si ravvedano comprendendo che di una maggiore concorrenza ne beneficiano tutti.