Il “Re Giorgio” che ci piace non è Napolitano
05 Dicembre 2011
di redazione
I tempi cambiano. "The Saturday Profile", la rubrica settimanale del New York Times, ha incoronato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per la sua capacità di "gestire uno dei trasferimenti politici più complessi del dopoguerra", quello verso il governo Monti, che piace a Obama, piace a Merkozy, piace al NYT, ma non è ancora chiaro quanto piaccia ai mercati.
Nel ritratto di Napolitano si loda l’abile mossa di aver nominato Monti senatore a vita prima di spianargli la strada a capo del governo, e torna a far breccia la simpatia del grande quotidiano Usa verso il Presidente che già anni fa gli yankees apprezzavano tanto da avergli affibbiato l’appellativo di "americano", pur essendoci ancora la Guerra Fredda e Napolitano militasse nel Pci. Per Rachel Donadio, esimia corrispondente del NYT, Napolitano è l’uomo giusto per l’Italia di oggi: un Paese da salvare, impoverito, con le finanze a rotoli, che spera nell’aiuto e in una pagella che strappi almeno la sufficienza dei grandi.
I tempi cambiano. Noi ci ricordiamo di un’altra copertina, di un altro "Re Giorgio" che veniva salutato dalla grande stampa internazionale (Time) come il volto vincente dell’Italia, quando il nostro Paese era ricco, forte, e in competizione con la Gran Bretagna; quando – come ricorderete – riuscimmo a sorpassare i brits che da allora non ce l’hanno più perdonata. Correvano gli anni Ottanta, sempre disdicevoli e condannabili secondo i soloni della sinistra (e non solo loro) e l’Italia della creatività e del genio imprenditoriale era incarnata da un Giorgio che di cognome non faceva Napolitano, ma Armani.
Ecco, augurando al Presidente di aver fatto la scelta giusta con Monti, non possiamo non andare con la memoria, e con grande nostalgia, a quando eravamo meno commissariati e con una marcia in più.