Il referendum sull’acqua spiegato alla signora Gina (che paga la bolletta)
07 Giugno 2011
Rispondo, in forma di lettera aperta, all’appello che la Signora Gina, parrocchiana di Don Sabotino, mi ha rivolto affichè io sostenga i due referendum relativi alla gestione delle reti idriche.
Signora Gina carissima,
grazie per il Suo appello. Dice che l’acqua è di tutti. E che l’acqua è gratis. Come il sole e il vento. E si figuri se non sono d’accordo. Poi però mi dice che dai, ce l’hanno rubata. E adesso possiamo riprendercela indietro. Voto sì ai referendum, e l’acqua mi ritorna Sorella. Il Bene è Comune.
Grazie per lo stimolo. Mi sono andato a dare una letta ai quesiti. E magari per come sono complicati non li ho capiti. Però tracce della Sorella nessuna, e del suo essere diventata proprietà privata ancor meno. Un quesito si occupa di Sorella Acqua, ma solo della sua pulizia e distribuzione. Se voti sì, Sorella potrà solo viaggiare con mezzi pubblici e frequentare pubbliche toilettes. E saranno banditi mezzi (tubi) e toilettes (depuratori) a gestione o proprietà private. (In realtà la proprietà dei tubi per legge è già pubblica adesso, ma transeat.). Se lo riporta ai tempi delle Partecipazioni Statali, è come dire che se un bene è di tutti può volare solo con Alitalia. Faccia Lei se è bene o male.
Poi c’è il secondo. Un po’ esoterico. Se vince il sì, la tariffa non terrà conto della remunerazione del capitale investito. Insomma lei pagherà non l’acqua (che è gratis…) ma la potabilizzazione dell’acqua ed il suo trasporto in base al “costo” di questo servizio, ma senza che le vengano addebitati sulla bolletta gli interessi (“remunerazione”) sul capitale investito per costruire tubi, depuratori, ed altra infrastruttura varia. Pare una meraviglia. Lei paga meno. Resta una domanda. L’acqua è gratis. Il tubo però costa. E chi lo costruisce se per definizione non ci guadagna?
Dice che non è questo il problema. Come le ha predicato Don Sabotino, che ha fatto volontariato alla foce arida del Rio Grande, il problema è che l’acqua è la vita; e che trarre profitti da un bene di tutti è scandalo e peccato. Non si può consumare un bene comune per profitto privato. Nobilissimo assunto. Però ho difficoltà a capire la relazione tra la necessità di por fine allo sfruttamento che inaridisce il Rio Grande e l’opportunità (o meno) di remunerare il capitale investito nell’Acquedotto Pugliese. Il bene è comune; ma per poterlo godere bisogna spenderci dei soldi. E, come i tubi, anche i soldi costano.
Lei, Signora, lo sa benissimo. Sta ancora pagando il mutuo della casa. E spende soldi remunerando il capitale investito in tubi, elettrodotti e diavolerie varie tutte le volte che paga la bolletta del gas o della luce. E per altri beni pubblici è quasi felice di spenderli. Fratello Sole e Fratello Vento sono gratis e di tutti. Però benefattore è chi di pala o di pannello ne consente la predicazione. Ed è benefattore tanto meritevole che tutte le volte che paga la bolletta della luce Lei è felice di sapere che sta (anche) remunerandogli sino a oltre il 15% il capitale investito. Quello che fa l’acquedotto però e invece è peccatore; e riconoscergli il 7% empia simonia. Non ho mai preteso che le religioni fossero coerenti; però mi consentirà che qui il discrimine è più crudele che nella predestinazione.
Il suo Comune deve ri-fare l’acquedotto. Niente contributi privati. Tutto capitale pubblico. Niente interessi sul capitale. Però se il sindaco va in banca a chiedere i soldi per l’acquedotto un mutuo glielo fanno solo con gli interessi. E lui come li paga? Due soluzioni possibili. La prima è il modello elemosina. La carità si fa senza interessi. L’acquedotto è un’opera di carità. Si mette il cappello in mezzo alla Piazza, e se e quando è pieno si fa l’acquedotto. Se non basta nisba. Con la Chiesa ha funzionato benino, anche se grazie a molti contributi straordinari. Però Lei si fida? Con l’acqua e senza religione magari si va all’inferno; però senz’acqua e con la religione di sicuro si crepa prima.
La seconda soluzione è che il sindaco va in Banca. Fa debito (pubblico). E per gli interessi come si fa? Per poterli pagare non c’è alternativa. Bisogna aumentare le entrate del Comune. Semplice. Più tasse. L’acquedotto si fa aumentando il debito pubblico; e si finanzia aumentando le tasse. E Lei invece di remunerare il capitale dello speculatore (?) attraverso la tariffa che le addebitano in bolletta remunera il capitale del sistema bancario pagando più tasse.
Se le sembra un affare, pensi che l’affare forse lo fa la Signora Maria. Quella sua vicina che spreca tutta l’acqua del mondo, tiene sempre i rubinetti aperti ed ha già rischiato di allagare il Palazzo. Quella che consuma 80 litri d’acqua ogni 20 che consuma Lei. Pensi che affare, la Signora Maria. Se gli interessi finivano addebitati in tariffa, Lei pagava 20 centesimi e la Signora Maria 80. Così via tasse 50 centesimi a testa. E’ proprio sicura, Lei che come direbbe don Sabotino è educata all’uso responsabile delle risorse, che votare sì Le convenga?
L’acquedotto che verrà, se sì, c’è rischio che in una botta aumenti il debito pubblico, inasprisca la pressione fiscale, e disincentivi il consumo responsabile. Non so dove lo costruiranno. Però non mi sorprenderebbe se sfociasse nell’Egeo.
P.S. Poi vince il sì e Le fanno una leggina per cui la tariffa include il costo degli interessi sul debito contratto per la costruzione. Come dire che i referendum, come la storia dai tempi della responsabilità dei giudici e del finanziamento ai partiti insegna, servono a trasformare giuridicamente in zuppa il pan bagnato.