Il Regno Unito non è un vecchio leone spelacchiato
01 Settembre 2016
di Daniela Coli
Diversamente da tanti storici e politici, non certo antiamericani, come Niall Ferguson, Angelo Panebianco crede sia un’assurdità parlare di declino dell’impero americano e si appoggia al libro di Joseph Samuel Nye, da lui prefato e pubblicato dal Mulino. L’argomento clou di Nye, di Harvard, clintoniano e obamiano, è che nessun impero, neppure quello britannico al suo top ha mai avuto un soft power come quello americano. Il termine soft power l’ha inventato Nye e significa capacità di persuadere, aggregare, costruire network accademici, mediatici, think tank, tecnologia della comunicazione, da parte di un Paese verso gli altri, alleati o avversari. Il soft power è importante (qualsiasi gruppo religioso e politico, come qualsiasi stato lo sa), però è azzardato dire come fa Panebianco che l’impero britannico al suo top non abbia mai avuto il soft power americano. La Gran Bretagna non aveva Hollywood, né Apple, né informatica, né droni, ma è difficile affermare che non avesse il soft power.
Basta pensare alla SOAS, School of Oriental and African Studies, nata nel 1916, da istituzioni antiche quanto i college e l’intelligence. Lo stesso Nye, per certi aspetti, è un prodotto britannico: si è laureato all’Exeter College, Oxford. Basta dare uno sguardo agli allievi della Cecil Rhodes School di Oxford per avere l’idea di quanti diplomatici, consiglieri, statisti di tutto il mondo (lo stesso Bill Clinton) abbia formato l’Inghilterra. Lo stesso Bernard Lewis, per esempio, è un prodotto di Oxford: durante la seconda guerra mondiale era un agente del Foreign Office, come altri storici accademici, vedi Hugh Trevor Roper, di destra e di sinistra, liberali o marxisti non ha importanza. Molti leader della decolonizzazione passavano per le università britanniche, come mostra Empire of secrets di Calder Walton.
Per motivi religiosi, storici e culturali, noi italiani abbiamo spesso risentimento per la perfida Albione, così come ce l’abbiamo con i tedeschi e i francesi, e preferiamo gli americani, più alla mano, ma viviamo in Europa, e considerare il Regno Unito un vecchio leone spelacchiato non ci aiuta molto. In Asia, Medio Oriente e Africa gli americani sarebbero stati sordi e ciechi senza inglesi. In Asia e Medio Oriente c’erano il CENTO (o patto di Baghdad) e la SEATO (o patto di Manila), di cui la Gran Bretagna era un pilastro, gli anelli di congiunzione con la NATO. Il CENTO, che comprendeva Iran, Iraq, Turchia e UK, perde l’Iraq nel ’58 e finisce a metà anni Settanta. La SEATO (South East Asia Treaty) dura dal 1954 al ’77. Il Pakistan fa parte di entrambe, ma si ritira da entrambe. Nel ’79, anno chiave, c’è la rivoluzione di Khomeini in Iran e il golpe militare contro Zulfiqar Bhutto in Pakistan.
Bhutto, che aveva studiato a Berkeley e Oxford, un leader intelligente, carismatico, modernizzatore, viene impiccato con un processo farsa il 4 aprile 1979. Il Pakistan era allora un paese che si stava modernizzando, non allineato, geopoliticamente importante. Il golpe del generale Zia fu opera della Cia, probabilmente con complicità britanniche, anche se i media inglesi criticarono il processo e la morte di Bhutto. Londra ha avuto un ruolo fondamentale sia in Iran con la BBC, che trasmetteva i discorsi di Khomeini, sia in Pakistan con Bhutto e Zia. La Thatcher ebbe ottimi rapporti con Zia, la Lady di Ferro aveva un ascendente su Reagan, e secondo alcuni incoraggiò addirittura Bush Padre ad attaccare l’Iraq invasore del Kuwait.
Insomma, gli inglesi avevano soft power perché hanno sempre fatto politica. L’America degli scandali in cui è coinvolta Hillary Clinton dimostra invece che puoi avere tutto il soft power che vuoi, ma se per 15 anni fai guerre e non le vinci, se rovesci regimi e produci il caos, perdi terreno, perché perdi alleati, visto che anche per gli effetti di quelle guerre i problemi in Europa arrivano sotto forma di profughi e di attentati. La Brexit è stata anche questo, un segnale di sfiducia negli Stati Uniti oltre che verso l’Europa. La Gran Bretagna aveva deciso di lasciare agli Stati Uniti “il fardello dell’uomo bianco”, secondo altri il ruolo di “poliziotto globale”, ma gli insuccessi militari americani dall’Iraq alle Primavere arabe hanno influito nella decisione inglese di lasciare la Ue, che per inciso, secondo autorevoli firme britanniche, è una creatura americana, vedi gli articoli di Ambrose Evans Pritchard.
Per Panebianco il declino degli Stati Uniti ci priverebbe dei valori occidentali, ma non si capisce cosa intenda il politologo bolognese. Il mondo moderno, la libertà d’impresa e di mercato, la libertà politica, sono invenzioni dell’Europa, principalmente della Gran Bretagna. Per Niall Ferguson sarà necessario dotare il prossimo presidente degli Stati Uniti di una commissione di storici per evitargli almeno di commettere l’errore di rovesciare un regime, come fece Bush nel 2003, senza sapere la differenza tra sunniti e sciiti. Come scrive Ferguson su “The Atlantic”, gli americani vivono negli “States United of Amnesia”, non sanno neppure la storia dei paesi a cui fanno la guerra. Bush non sapeva che il regime di Saddam era retto da una minoranza sunnita che aveva soppresso gli sciiti e neppure capì che l’effetto di dare il potere agli ssciiti in Iraq avrebbe soltanto rafforzato l’Iran. Per lo storico scozzese, Obama non prese neppure in considerazioni le relazioni tra Russia e Ucraina quando decise che l’Ucraina doveva entrare nell’Ue. Forse troppo amnesia crea problemi anche al soft power.