Il “ribaltone” del senatore della Pennsylvania, Arlen Specter, che ha lasciato il partito repubblicano per correre come democratico alle prossime elezioni di mid-term del 2010, rischia di trasformarsi in un problema per Obama e la leadership del suo partito. In teoria, l’uscita di Specter dalla “big tent” reaganiana sarebbe un’ottima notizia per il presidente, che potrebbe presto ritrovarsi a governare con una maggioranza “a prova di ostruzionismo” anche al Senato. Con l’arrivo del "rino" (republican in name only) della Pennsylvania – anche se in realtà è nato in Kansas – i democratici sono infatti a un passo dal raggiungimento della mitica “quota 60”, che impedirebbe al partito repubblicano qualsiasi forma di filibustering, azzerando di fatto ogni spazio di manovra politica per il GOP. E il sessantesimo senatore potrebbe arrivare presto, se – come sembra sempre più probabile – nelle prossime settimane venisse ufficializzata la contestatissima vittoria di Al Franken su Norm Coleman in Minnesota.
Mentre i repubblicani si trovano di fronte al (difficile) dilemma tra un “partito puro di minoranza” e un “partito misto di maggioranza”, però, anche i democratici sono costretti ad affrontare una situazione complicata. Nell’accordo con il leader della maggioranza al Senato, Harry Reid, infatti, Specter ha ottenuto di mantenere i suoi oltre 28 anni di seniority, che lo catapultano direttamente ai primissimi posti della lista democratica nell’assegnazione dei posti nelle commissioni più ambite. E questo, naturalmente, ha fatto infuriare i senatori democratici che si troverebbero improvvisamente scavalcati dalla new entry. «Non sarei contenta di dover perdere il mio posto in una commissione importante a causa di Arlen Specter», ha dichiarato la senatrice democratica del Maryland, Barbara Mikulski, che siede nell’Appropriations Committee con Specter ed è quinta nel ranking dietro Daniel Inouye (Hawaii), Robert Byrd (West Virginia), Patrick Leahy (Vermont) and Tom Harkin (Iowa). «Decidere il grado di seniority spetta al caucus – ha detto al quotidiano online The Politico un altro senatore che vuole mantenere l’anonimato – La verità è che Specter non può tirare troppo la corda, perché passando con noi ha salvato (forse) una carriera politica ormai destinata al tramonto. Gli abbiamo fatto il favore di rimanere al Senato, ci dovrebbe soltanto ringraziare».
L’anonimo senatore democratico centra il punto esatto della questione. Specter, infatti, non ha abbandonato il GOP perché ormai «troppo spostato a destra» per un moderato del nord-est, come ha detto nella nota con cui ha ufficializzato il party-switch. Specter ha cambiato partito perché nei sondaggi sulle primarie repubblicane della Pennsylvania, che l’avrebbero visto scontrarsi con il presidente del think tank liberista Club for Growth, Pat Toomey, viaggiava con un distacco di 20-25 punti percentuali rispetto allo sfidante. L’istinto di sopravvivenza, non uno strappo politico, hanno spinto Specter a cambiare partito. E questo è un dato di fatto. Ma cosa ne pensa l’ala sinistra dello schieramento democratico dell’ipotesi di farsi rappresentare da un moderato in un seggio teoricamente sicuro come quello della Pennsylvania nel 2010? La risposta arriva dagli appelli, che si stanno moltiplicando in queste ore su Internet, per raccogliere fondi a favore di uno sfidante “progressive” alle primarie democratiche. Specter potrebbe aver evitato una sconfitta nel GOP soltanto per subirne una simile dall’altro lato della barricata. E tutto al prezzo di un nervosismo crescente nel caucus democratico, proprio mentre Obama si prepara a contrattare con il Congresso il passaggio di “pezzi” importanti del suo programma legislativo.