Il richiamo della foresta (politica) è troppo forte e Veltroni torna alla carica

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Il richiamo della foresta (politica) è troppo forte e Veltroni torna alla carica

11 Maggio 2010

Il richiamo della foresta politica è forte, fortissimo. E così Walter Veltroni sveste i panni del Cincinnato e consuma un ritorno in scena in grande stile, muovendosi verso la riconquista di quote di potere all’interno di quel Partito Democratico che nacque nell’ottobre del 2007 a sua immagine e somiglianza e di cui fu primo segretario.

La seconda vita dell’ex candidato premier ricomincia da una fondazione, “Democratica”, un pensatoio in grado di proporre la voce di quella parte del Pd uscita sconfitta dalla battaglia congressuale. Con lui ci saranno Enrico Morando, Marco Minniti, Walter Verini, Giorgio Tonini. Tutti storicamente vicini all’ex sindaco di Roma. Con questa mossa Veltroni punta a riportarsi al centro della scena per recuperare lo spirito originario del Pd, quello sognato dall’economista Michele Salvati – che presiederà il Comitato scientifico della Fondazione – e racchiuso nel “discorso del Lingotto” che lanciò l’avventura del Pd e chiuse il capitolo del governo multicolor di Romano Prodi. Erano i tempi in cui si vagheggiava il partito autosufficiente, a vocazione maggioritaria, leggero, mediaticamente attraente, aperto a imprenditori e società civile. Altri tempi. Ma ora quel capitolo, apparentemente chiuso e consegnato all’archivio delle utopie impossibili, si appresta a essere riaperto.

Il graduale riavvicinamento di Veltroni alla piena ribalta pubblica è avvenuto in maniera graduale. Impegnato in convegni e “lezioni africane”, occupato dalla scrittura del suo libro “Noi” negli ultimi mesi l’ex direttore dell’Unità era apparso sempre più lontano dalla politica. Ma negli ultimi mesi l’ex leader ha iniziato a farsi notare sempre più, ci ha messo la faccia con incursioni televisive sulla riapertura del caso Pasolini, con citazioni di Mourinho (“In Italia si può solo resistere, non innovare”) o con sortite ironiche su un suo possibile incarico come salvatore della Juventus.

C’è chi ha visto in questa rinnovata visibilità il prologo a un nuovo impegno nel partito. E così è stato. Veltroni è tornato. E ora sia appresta a intonare un controcanto programmatico rispetto a quel “Progetto per l’Italia” che Bersani illustrerà nei dettagli nell’Assemblea nazionale fissata a Roma per il 21 e 22 maggio. Lo spirito dell’azione veltroniana è quello di sempre: rilanciare un Pd capace di giocare in attacco e non in difesa, conquistare pezzi di società con il proprio appeal senza ripiegarsi in eterno su un passato non più riproponibile e su una nostalgia canaglia per l’unità delle sinistre e altre parole d’ordine un po’ stantie. Un obiettivo ambizioso, sfumato nel recente passato per l’incapacità dell’ex sindaco di Roma di resistere alla pressione delle tante anime del partito, con il conseguente, scontato ripiegamento nella ridotta dell’antiberlusconismo, uno snaturamento progressivo sfociato nelle dimissioni, nel passaggio di consegne a Dario Franceschini e in un iniziale ritiro a vita (quasi) privata.

Negli ultimi mesi, però, il tarlo della politica ha ripreso a rodere. La voglia di tornare sulla scena è cresciuta. Ed è sfociata nel primo atto ufficiale consumato nel weekend a Cortona, alla riunione della minoranza di Area Democratica. Una rentrée scandita da alcune parole d’ordine piuttosto chiare. “Nessuna ipotesi di scissione”, perché “noi siamo quelli che credono di più” al progetto del Pd, ma è necessario un cambio di passo: il partito non può chiudersi nei “conservatorismi” e deve accettare la sfida “dell’innovazione e della conquista”.

L’agenda del pubblico strappo è risultata piuttosto nutrita: contratto unico di lavoro, tagli fiscali, vicinanza al mondo del lavoro individuale (partite Iva, commercianti, artigiani, professionisti), liberalizzazioni, riforma della giustizia. Rispetto alla linea di Bersani, la differenza sostanziale sta nell’affermazione che in Italia c’è ben poco da conservare e che il Pd deve tornare a osare, uscendo dai bizantinismi delle riforme costituzionali e avvicinandosi di più alla gente e alle classi produttive con temi concreti.

E’ il ritorno a quella vocazione maggioritaria, forse velleitaria ma sempre capace di infiammare l’orgoglio di una parte del partito. Ma anche un attacco diretto alla linea Bersani, smontata pezzo dopo pezzo, sia sulle  alleanze (“i comitati di liberazione nazionale anti-berlusconiani non funzionano”), sia sull’idea di un partito pesante che “è sbagliata in una società frastagliata”. E ancora: “basta caminetti”, servono “organismi in cui discutere”. E poi la riproposizione del “modello Obama”, inteso progetto basato sulla centralità di una identità nuova.

“Barack Obama, dopo che gli Stati Uniti avevano votato due volte Bush non ha pensato ‘non vinceremo mai, ci dobbiamo alleare’ ma ha lanciato la sua sfida ed è riuscito a spostare milioni di voti”. “E’ quello che anche il Pd deve cercare di fare”. Innovare e conquistare sono, dunque, le sue parole chiave per sfidare la maggioranza e quella impostazione congressuale di Bersani-D’Alema che ha ritagliato per il Pd il ruolo di un partito di coalizione senza vocazione maggioritaria. «Ma questo si è rivelato perdente. Quello che è accaduto alle regionali lo abbiamo visto e ce lo ha spiegato D’Alimonte: l’Udc appartiene a un elettorato di centro-destra».

Errori che si sommano a quelle “scorciatoie” politiche come la suggestione di un comitato di liberazione nazionale o di un gioco di sponda con Gianfranco Fini «che sta nel recinto del centro-destra, non in quello dell’opposizione». Veltroni, insomma, un po’ come l’ex presidente di Alleanza Nazionale, appare deciso a portare avanti una battaglia politica di opposizione tutta interna al partito.

E non c’è dubbio che il segretario in carica dovrà ora porsi il problema di come relazionarsi con una minoranza che è tornata combattiva, come dimostra la tre giorni di Cortona. Anche se Bersani sa bene che Area Democratica – che pare abbia già trovato una sede a Roma, a Via della Mercede, a due passi dal quartier generale del Pd – è molto divisa al proprio interno, non è un aggregato omogeneo, riproduce in scala la stessa mancanza di identità dell’intero partito. Ci sono dirigenti come Fassino e Gentiloni titolari di piccole aree interne, ci sono gli ex popolari mischiati a ormai ex-giovani promesse e outsider vari. E solo le virtù mediatiche di Veltroni, finalmente uscito allo scoperto nell’obiettivo di dare battaglia sia per la leadership dentro il Pd che per la premiership dentro il centrosinistra (magari in tandem con Nichi Vendola) e le virtù diplomatiche di Franceschini la tengono insieme.

Per il resto è una componente “aperta”. O forse, come ha scritto con malizia la Velina Rossa, un consesso di “generali senza truppe che vogliono posti nel partito”. Quel che è certo è che un ex segretario che “ritorna” e che oggi presenterà a tutti i parlamentari del Pd la sua nuova creatura, la fondazione “Democratica”, è una grana di cui Bersani avrebbe fatto volentieri a meno.