Il rincaro energetico dopo il no-nuke lo pagheremo con le nostre tasche

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Il rincaro energetico dopo il no-nuke lo pagheremo con le nostre tasche

16 Giugno 2011

Lo scossone non è ancora arrivato ma le previsioni sono fra le più pessimistiche. A lanciare l’allarme è stato il presidente dell’Unione petrolifera Pasquale De Vita durante il suo intervento all’assemblea annuale: nel 2011 la bolletta energetica italiana potrebbe superare i 63 miliardi di euro. Cosa significa? Due cose: la prima è che quest’anno i costi dell’energia nel nostro Paese toccheranno i livelli più alti mai registrati dal 2008 (secondo le stime dell’Up la fattura complessiva supererà i 60 miliardi contro i 53,9 miliardi del 2010). La seconda è che il conto ricadrà, naturalmente, sulle spalle degli italiani.

I costi che faranno lievitare l’intera bolletta saranno quelli del petrolio che, secondo la previsione di De Vita, saliranno dai 28,5 miliardi del 2010 a circa 36 miliardi, registrando anche in questo caso un massimo assoluto e spingendo in alto il conto generale. A far salire l’asticella, secondo il presidente dell’associazione, è stata la crisi economica che ha colpito tutto il sistema industriale ma in particolar modo quello petrolifero che è stato l’unico a registrare una contrazione nei consumi. Il petrolio infatti, pur essendo il principale "abbeveratoio" energetico degli italiani, è stata l’unica fonte a non aver recuperato nulla di quanto perso nel 2009 a causa della crisi. Al contrario l’energia elettrica e il gas tengono botta. Ciò vuol dire che in casa nostra, negli ultimi anni, si è speso circa il 2% in meno per il petrolio – per De Vita 19,2 milioni di tonnellate in meno – ma mantenuto pressoché invariati i consumi di energia elettrica e di gas.

Sempre secondo De Vita, insomma, a seguito dello stop imposto al nucleare dall’esito del referendum e considerando l’aumento della domanda energetica a livello globale, sono necessari due interventi: da un lato sviluppare le rinnovabili, dall’altro rendere i combustibili fossili più sostenibili. A quest’ultimo proposito ha precisato che nel mondo si stanno portando avanti progetti sperimentali per rendere il carburante eco-compatibile con investimenti pubblici stimati in oltre 35 miliardi di dollari.  

Affermazioni, queste, sulle quali è parso del tutto in linea quanto detto dal ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani che, per rispondere alla sfida energetica derivante dalla crisi nordafricana e al disastro di Fukushima, si aspetta "un significativo contributo dalle produzioni nazionali di idrocarburi già a partire da quest’anno". Nello specifico si attendono sviluppi in Basilicata, dove la produzione di petrolio dovrebbe aumentare di oltre 90 mila barili al giorno. Il ministro ha detto che il governo vuole ridurre drasticamente le scorte all’estero ma anche "far diventare l’Italia un Paese in grado di accogliere le scorte di petrolio degli altri paesi europei, con nuove prospettive di attività economiche accanto a quelle tradizionali della raffinazione e dello stoccaggio commerciale".

Come questo accadrà non è del tutto chiaro ma una risposta celere è necessaria, visto che quei 90 barili di cui parla il ministro corrispondono ad appena il 7% del consumo nazionale. Ad ogni modo Romani ha annunciato una nuova strategia energetica in base alla quale si ridistribuiranno risorse sulle fonti energetiche. Un maggiore sostegno spetterà sicuramente alle fonti rinnovabili, in testa quelle che producono energia dalle biomasse e dalla biotermia. Un campo che oggi però non sembra competere con il fossile né tantomeno essere in grado di soddisfare il costante fabbisogno del Paese.