Il riscatto di Pompei non passa da ministeri e burocrazie
09 Novembre 2013
Il Decreto Valore Cultura, da poco approvato dal Governo Letta, che assegna a Pompei sia altri finanziamenti sia un ennesimo direttore generale che salvaguarda la spesa, non incide di un soffio nell’incancrenita situazione del sito archeologico, anzi la peggiora, perché ne acuisce la dipendenza dallo Stato, come ho scritto sul settimanale Panorama questa settimana.
La cronaca di Pompei di questi anni è un affastellarsi di (non) decisioni politiche che hanno avvicendato commissari straordinari su commissari straordinari, soprintendenti e direttori responsabili, gonfiando e rimestando la macchina organizzativa e burocratica, non mutando però di una virgola la situazione, che fa del sito un luogo considerevolmente frequentato (circa 2 milioni e 300mila visitatori all’anno, in calo negli ultimi tre anni) ma anche il più vistosamente e patentemente degradato per superficie quadrata (gli altri siti in emergenza, da Sibari a Centocelle a Medma di Rosarno alla Banditaccia di Cerveteri, non hanno confronto per estensione).
Finora il problema di Pompei è stato affrontato su un doppio binario che si è dimostrato errato su entrambe le rotaie su cui si è mosso: garantirgli altri fondi, sia dall’Unione europea sia dal Ministero sia dalle amministrazioni territoriali, e dall’altro lato, rivedere l’organizzazione che lo gestisce e lo tutela, mutandone la conformazione, ma non trasformandola nella sostanza, di fatto lasciandola essere quale essa è tuttora, ovvero un’organizzazione paraministeriale, al guinzaglio del Ministero dei Beni culturali.
Fa sorridere dunque la discussione su Repubblica e su altri quotidiani, tra cui il Mattino, se occorra che l’ennesimo direttore generale che salvaguarda le spese, istituito dal decreto del Governo Letta, debba essere un manager o un esperto di archeologia. Nessun manager, con una tale situazione legislativa e con una struttura burocratizzata e ipertrofica quale è quella ministeriale, riuscirebbe a fare ciò per cui esso è stato chiamato, ovvero avviare revisioni accorte e monitorate delle spese.
Il precedente del manager Mario Resca alla direzione generale della Valorizzazione del Ministero dei Beni culturali lo dimostra: praticamente non gli è riuscito far nulla. E, nell’ipotesi opposta, ovvero che la conduzione di questo direttorio generale delle spese debba essere affidata ad un qualificato archeologo, non si capisce come esso non entri in collisione permanente con il suo collega omologo, ovvero il soprintendente speciale per Pompei. Se c’è già un responsabile attento e competente in archeologia, cioè il soprintendente in carica, perché mettergliene un altro sopra o accanto, che dovrà poi far interagire le sue decisioni con quelle delle altre strutture ministeriali, dalla Direzione Regionale alla Direzione Generale? I loro poteri necessariamente, inevitabilmente, confliggerebbero, e finirebbero per divenire l’uno il veto dell’altro, in un immobilismo di organizzazione, proprio di questi decenni, che è dovuto alla sua bulimia dirigenziale.
Garantire altri finanziamenti a Pompei o rivedere l’impianto della sua struttura gestionale ampliando il novero dei suoi responsabili, significa non capire il problema: Pompei e gli altri siti in difficoltà non hanno bisogno di altri soldi e non hanno bisogno di altri direttori generali che ipertrofizzano la macchina gestionale. Hanno necessità che si costituisca attorno ad essi un’istituzione autonoma e indipendente, non al guinzaglio del Ministero, che gestisce le attività, ne reperisce i fondi, e liberamente, con i cittadini e l’amministrazione locale, sviluppa progetti e iniziative. Se la gestione funziona, vanno avanti, altrimenti si cambia. Soltanto dando autonomia di spesa e progettualità agli enti culturali, senza nessuna preminenza del Ministero, si incentivano saldi virtuosi e offerte innovative.
Lo dico e lo scrivo da anni. L’ascolto è zero da parte dei politici. Hanno tutto il diritto di ignorare le proposte mie o di altri. Però se dopo decenni i problemi non soltanto non sono risolti ma sono aumentati, forse ascoltare, vagliare, approfondire le proposte che sollecitiamo sui giornali o nei libri non è un segno di debolezza, ma di semplice ragionevolezza, giacché compito di una persona ragionante è anzitutto ragionare.