Il “Risveglio” iracheno rischia di trasformarsi in un incubo

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Il “Risveglio” iracheno rischia di trasformarsi in un incubo

25 Aprile 2009

Improvvisamente l’Iraq sembra ripiombare nel caos. In due giorni una catena di attentati ha provocato la morte di oltre 120 persone. Sono state colpite Baghdad, due volte, e Baquba, dove un attentatore ha colpito un ristorante frequentato da pellegrini sciiti, diretti nelle città sante di Kerbala e Najaf, alcuni dei quali di nazionalità iraniana. In genere gli sciiti sono stati i principali bersagli di questa serie di attacchi che ha riportato l’Iraq sinistramente indietro nel tempo. In realtà, gli attentati di questi ultimi giorni giungono dopo che già per tutto il mese di aprile si era registrata una sensibile ripresa delle attività terroristiche. Soprattutto a Baghdad dove il 7 aprile ben sei autobombe avevano provocato la morte di 37 persone.

Adesso tutti si interrogano sui perché. Proprio quando s’iniziava a parlare di Iraq stabile, sicuro, e a vedere l’annunciato ritiro americano con una certa tranquillità. Fino, appunto, agli attentati di ieri e l’altro ieri che hanno riportato di attualità proprio la questione di un ritiro americano troppo affrettato. Gli americani vengono via, e lasciano le città, e Al Qaeda rialza la testa in barba alla crescente assunzione di responsabilità da parte delle forze irachene. Un’analisi semplice, logicamente fondata, certo, ma che non basta da sola a spiegare questo riesplodere di violenze. Anche perché, almeno per il momento, e fino a prova contraria, quello che abbiamo di fronte è un fenomeno contingente. E che potrebbe essere spiegato più che da cause strutturali, come appunto il ritiro americano, da congiunture precise. Quali, per esempio, il difficile processo di assimilazione dei Comitati del Risveglio all’interno delle strutture statuali irachene. Ai primi di aprile, il controllo sui sahwas – i gruppi di miliziani sunniti che tanto avevano contribuito alla sconfitta di Al Qaeda – è passato definitivamente al Governo iracheno. Ma da subito si è capito che Maliki non aveva molta voglia di rispettare gli impegni presi: l’assorbimento del 20% dei miliziani nelle forze di sicurezza irachene ed un’occupazione sicura all’interno dell’apparato statale per il restante 80%. Promesse che per il momento sembrano essere mantenute a singhiozzo o non mantenute per nulla. Con la scusa del crollo del prezzo del petrolio, e della minore disponibilità di liquidità, il processo va a rilento, mentre il ministro dell’Interno, lo sciita Jawad al Bolani, spalleggiato dallo stesso Maliki, non perde occasione per attaccare i sahwas accusandoli di essere spie di Al Qaeda e rinvangandone i loro trascorsi baathisti.

Un atteggiamento un po’ furbesco che però ha infastidito e non molto gli stessi sahwas che adesso si sentono traditi dopo essere stati ampiamente usati dal Governo per cacciare al Qaeda da Anbar e da Baghdad. Tanto che una parte di loro sembra nuovamente attirata dalle sirene della guerriglia. I segnali in tal senso sono già molti. A fine marzo, nel quartiere Fadhl di Baghdad, si è scatenata una battaglia durissima tra miliziani dei Comitati del Risveglio e forze di sicurezza irachene, appoggiate da unità americane, che ha lasciato sul campo due morti e diversi feriti. La scintilla, l’arresto del leader locale dei sahwas Adel Mashhaddani, sulla cui testa pare pendessero 80 capi d’imputazione. Agli scontri è poi seguita un’ondata di arresti in diversi quartieri della capitale e decine di miliziani sono stati incarcerati con l’accusa di aver commesso omicidi e reati legati al terrorismo.

Episodi del genere si sono registrati anche in altre parti del Paese. Gli stessi americani il 3 aprile hanno ucciso in un raid aereo quattro membri dei sahwas. Intenti, secondo loro, a piazzare un ordigno. Come riportato freddamente in un comunicato rilasciato a seguito dell’attacco. In realtà, secondo i portavoce dei Comitati del Risveglio, tutti questi episodi sono il frutto di una campagna deliberata, orchestrata da Maliki e dall’ala sciita del Governo iracheno, contro di loro. Ed i loro leader parlano di ritorno di Al Qaeda, mentre le bombe esplodono di nuovo a Baghdad.