Il ritardo di Rajoy sul deficit è un soave inno alla sovranità democratica

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Il ritardo di Rajoy sul deficit è un soave inno alla sovranità democratica

08 Marzo 2012

L’inquisizione torna nella ‘Cattolicissima Spagna’. Stavolta non sotto le sembianze del vecchio inquisitore così meravigliosamente rappresentato ne ‘I Fratelli Karamazov’ di Dostoevskij, ma piuttosto nell’amorale rigidità di burocrati europei sotto l’influenza del luteranesimo di politica economica del governo tedesco della cancelliera Merkel.

Come noto il premier spagnolo Mariano Rajoy – l’uomo che lo scorso Novembre ha riportato il Partido Popular alla vittoria e al governo dopo i disastri di politica economica di quasi due mandati di zapaterismo – ha recentemente annunciato all’Europa (e a Berlino) che il suo governo sforerà del 2.8% sull’obiettivo del 3% nel rapporto deficit/Pil imposto dai tedeschi nel ‘fiscal compact’ da poco approvato in Europa, passando da un deficit già soggetto a tagli del 4,4% a uno del 5,8% per l’anno 2012. 

Dall’annuncio di Rajoy, sulla Spagna è tornato a soffiare il vento di Lady spread (la prima di riesgo sui Bonos spagnoli rispetto ai titoli tedeschi è tornata a salire) e il governo spagnolo ha dovuto respingere l’attacco dei burocrati di Bruxelles, a partire Amadeu Altafaj, portavoce del commissario europeo agli Affari economici e monetari Olli Rehn, il burocrate che piace tanto a Maria Laura Rodotà del ‘Corriere’.

Quando Rajoy si è insediato da primo ministro lo scorso Dicembre, il deficit del governo spagnolo per l’anno 2011 si attestava al 8,5%: un dato significativamente più alto rispetto a quello ammesso dal governo sostenuto dal Psoe in campagna elettorale lo scorso Autunno. L’allora governo di Zapatero ammetteva un deficit sul 2011 di poco più del 6% sul Pil, rivelatosi poi superiore all’8% (!).

Nonostante tutto, le politiche dei primi cento giorni del governo Rajoy, hanno ricevuto ‘buona stampa’ sul Financial Times e sul Wall Street Journal. Senza contare che chiedere alla Spagna di andare da un 8,5% al 3% nel rapporto deficit/Pil in un solo anno fiscale è proibitivo. Il rallentamento sul rientro sul deficit del governo Rajoy deve essere analizzato anche alla luce del quadro macro-economico spagnolo. La disoccupazione in Spagna è al 23%. La disoccupazione giovanile è quasi al 50%. La tassazione sul reddito è tra le più alte d’Europa come ha messo in evidenza il Cato Institute.

A favore della Spagna gioca, certo, un debito pubblico molto basso rispetto al resto dei paesi industrializzati – il 68% nel rapporto tra debito/Pil – e l’appena approvata flessibilità in materia di lavoro (anche nell’impiego pubblico e l’Italia impari dai cugini spagnoli). Chiedere alla Spagna di tagliare il proprio deficit di quasi il 6% è una richiesta assurda anche per i marziani di Bruxelles.

E’ per questo che tra le rimostranze poco convinte del governo tedesco e le uscite dei tirapiedi di Rehn alla Altafaj di fronte alla giusta tirata ‘sovranista’ del premier Rajoy, tre giorni fa il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, ha affermato di “non aver dubbi” sul fatto che la Spagna sarà in grado di rispettare gli impegni di riduzione del deficit. Un’accettazione di fatto dei tempi imposti da Madrid all’Europa (un buon esempio per tutti coloro che pensano che puntare i piedi in Europa non sia possibile).

La mossa del premier Rajoy e del suo ministro delle finanze, De Guindos, com’è naturale che sia in democrazia, è stata anche soggetta a considerazioni di natura elettorale. Tra pochi giorni si vota in Andalusia e nel Principato delle Asturie. La prima è una regione che dalla fine del franchismo è in mano ai socialisti del Psoe e dalle parti del Partido Popular si pensa che il premier Rajoy – per non offrir ai propri rivali politici l’arma dell’attacco Popolare allo “stato sociale” sotto i colpi di troppa merkeliana austerità – abbia voluto prendere un po’ di tempo sui tagli alla spesa in deficit per tentare di strappare la regionre ai socialisti.

Quanto alla tornata elettorale nel principato dell’Asturie, essa segue dinamiche particolari dato che il governatore uscente, Francisco Álvarez-Cascos, ha ricoperto nel PP il ruolo di segretario generale per molti anni, prima di uscirne in segno di protesta lo scorso anno, a sei mesi dalla propria elezione, lo scorso Giugno 2011, a presidente proprio dell’Asturie. Una vittoria quella di Cascos che ruppe un quasi continuo governo socialista nella regione.

Dunque ragioni elettorali. Per questo il governo di Rajoy pubblicherà i ‘Presupuestos Generales del Estado’, quello che in Italia chiamiamo ormai il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria, solo nel mese d’Aprile, a elezioni andaluse e asturiane concluse.

Comunque vada a finire, comunque, il caso spagnolo e la presa di posizione dei socialisti del Psoe rispetto al ‘fiscal compact’ merkeliano, dimostra che le nazionalità stanno prevalendo sulle famiglie politiche federate a livello europeo, tanto per quel che riguarda il Partito popolare europeo quanto per il Partito socialista europeo.

Se in Francia, il candidato del Parti socialiste français, François Hollande, si dice contrario al ‘fiscal compact’ merkeliano (e il 17 Marzo ha in serbo con Bersani e Sigmar Gabriel, il segretario nazionale della SPD  l’annuncio a Parigi della soluzione neo-keynesiana a negazione della crisi del modello di spesa pubblica euro-continentale), gli spagnoli socialisti di Zapatero prima e di Rubalcaba poi non hanno fatto una piega di fronte al ‘fiscal compact’ tedesco.

Anche nel PPE le cose non vanno affatto bene: se il presidente francese Nicolas Sarkozy ha vincolato l’UMP ad un ‘sì’ al fiscal compact della Merkel, il PP spagnolo non pare affatto soddisfatto dal metodo utilizzato. Senza parlare, nevvero, dei Tories britannici. Loro al ‘fiscal compact’ si sono opposti dal primo giorno.

Insomma, ‘più Europa, più Europa’, gridano le moltitudini prive di idee. Per il momento c’è solo più confusione e forse uno scomponimento silenzioso di molti quadri politici nazionali. Le clientele a suon di denari pubblici non si potranno più fare in Europa e qualcosa inevitabilmente cambierà.