Il “Secondo emendamento” è un altro modo di ribellarsi a Obama

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Il “Secondo emendamento” è un altro modo di ribellarsi a Obama

Il “Secondo emendamento” è un altro modo di ribellarsi a Obama

22 Aprile 2010

Il 19 aprile un manipolo di “arrabbiati”, di destra e armati fino ai denti, si è dato convegno al Gravelly Point Park di Arlington, in Virginia, a tiro di metrò da Washington. Lo ha fatto per protestare contro la “deriva totalitaria” del governo retto da Barack Hussein Obama. La notizia è giunta anche da noi, sul Corriere della Sera, epperò al tempo. Giacché prima di giudicare occorre comprendere.

Scrivere infatti delle «decine di dimostrazioni» di questo tipo organizzate «dalle milizie e dai gruppi evangelici e di destra in tutta l’America» come fa Ennio Caretto sul “CorSera” è un conto, raccontare del centinaio di persone, rumorose e folcloristiche, radunatesi in alta Virginia come fa Katy Steinmetz su Time è tutt’altra cosa. Se poi il dire «decine di dimostrazioni» mira a mettere assieme quel che assieme non sta, milizie armate, attivisti dei “Tea Party”, Destra religiosa e gruppi conservatori grassroots, la cosa si fa grave. Soprattutto se fosse malizioso il voler sottolineare la data del convegno, anniversario della strage di Waco, Texas, nel 1993 e della ritorsione vigliacca di Oklahoma City.

Waco, infatti, fu tutta colpa dell’FBI e dell’agenzia governativa Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives, diretti malissimo da un ministro progressista della Giustizia, Janet W. Reno, di un governo progressista, Bill Clinton, i quali preferirono sparare e incendiare, bimbi compresi, invece che comprendere i propri cittadini. E l’attentato successivo costò l’iniezione letale al terrorista Timothy J. McVeigh (1968-2001), segno che le istituzioni americane sanno anche come agire e soprattutto individuare i colpevoli, segno che il Paese sa correggere certe storture inevitabili nel proprio buon assetto generale, ma anzitutto segno che chiaramente un McVeigh è un McVeigh ma altri “paramilitari”, per pirotecnici e flamboyant che siano, no.

Poiché, se fra i frequentatori dei “Tea Party” e gli attivisti della “Christian Right” abbondano da sempre sia gli evangelicali (non gli evangelici) sia i sostenitori del diritto costituzionale americano a portare liberamente armi esattamente come Charlton Heston (1923-2008), ciò non autorizza a mescolarli ai membri delle milizie. E poi negli States le famose milizie si addestrano e si raccolgono alla luce del sole, hanno sedi e impiegati, siti Internet, pubblicazioni, giornalisti che li intervistano e che li filmano, e discendono pur’esse da un inveterato diritto costituzionale degli americani, non sono tutte uguali le une alle altre, spessissimo abbondano di tipi particolari ma quale che sia il numero dei soggetti curiosi presenti nelle loro fila esso è sempre assai più vasto di quei pochi tizi che decidono di rapinare banche per autofinanziarsi, di sparare sulle forze dell’ordine, di sfoggiare antisemitismo feroce e d’inventarsi un’America inesistente. Potranno continuare lecitamente a non piacere sul piano culturale, le milizie, ma dire che ogni americano costituzionalmente armato è un miliziano e che ogni miliziano è un terrorista porta a scambiare gravemente per dei teppisti dei cittadini normalissimi, dei padri di famiglia, persino degli uomini pubblici e dei politici.

Se poi in Virginia quei miliziani (che se sono terroristi ci penserà bene, stavolta, l’FBI, il quale sul punto è agguerritissimo, e che sennò possono essere politicamente criticati, ma non discriminati mediante uso di bugie), se quei miliziani in Virginia ci sono andati armati, così ci sono andati perché così in America si può fare, anzi a volte pure si usa fare. Negli USA, infatti, in molti Stati, è lecito possedere armi: potrà sempre non piacere, ma la cosa è altra, a monte del raduno del 19 aprile ultimo scorso. Tant’è che quei soggetti si son dati a convegno in Virginia, Stato dove i cittadini comuni possono possedere legalmente armi, onde far sentire le proprie voci forti alla vicina Washington dove invece gli armamenti sono illegali, ergo ce li hanno solo poliziotti e delinquenti. Tutto, cioè, resta ancora entro i limiti della legalità e del costume americani. Diversi dai nostri, già, ma non scandalosi per questo.

Che poi un centinaio di personaggi pittoreschi, fra cui non si fa fatica a immaginare si siano potuti annidare pure dei facinorosi, come sempre (come nei nostri stadi pieni di brava gente appassionata di calcio fra cui ogni domenica si mescolano dei pocodibuono armati in un Paese che vieta l’uso delle armi ai cittadini), che quei cento arrabbiati dicano di essere il “Tea Party II” ciò non pesa sui “Tea Party”. Le due cose restano diverse. Sennò basterebbe dire ai quattro venti di essere Maradona 2 per giocare bene al calcio. La protesta contro Obama si può cioè fare in modi diversi, alcuni leciti altri no, basta anzitutto non confonderli e soprattutto sapere sempre chi e perché eventualmente colpire.

Infine etichettare tutto come “Destra” e “religione” è un altro trucco basso. È infatti ben difficile definire “Destra” molte delle frange più esasperate di quella parte della galassia eterogenea delle milizie che ha la sciagurata ventura di fare riferimento al nazionalsocialismo, al razzismo, al Ku Klux Klan e in tempi recenti magari pure a Osama bin Laden: che hanno costoro di patriottico, di costituzionale, di autenticamente americano? La loro retorica rivoluzionaria è del resto molto sinistra. Quanto al cristianesimo di estrazione evangelicale, attenzione. Gli estremismi di certe milizie vengono alimentati da una teologia di derivazione calvinista sì, la cosiddetta “Identity Church”, ma tanto rabberciata e paciugata da farsi irriconoscibile, un fai-da-te aberrante che, di origine cristiana e in tesi filosemita, è finito ai porci, lasciando assolutamente indifferente il cristianesimo ortodosso, pure protestante.

Epperò a conti fatti qui rischiamo di mancare il punto vero della questione. Il punto vero essendo il fatto che oggi non esiste americano sano di mente e di cultura, o culturalmente ammalato e un po’ strano nei pensieri (in un rapporto però di un milione a uno) che regga il primo presidente postamericano del mondo, come dice felicemente l’ex ambasciatore statunitense all’ONU John R. Bolton. Questa è la sostanza autentica della vicenda. Non varrebbe allora la pena di cambiare una rotta tanto impopolare prima che qualche demente si metta a sparare per le piazze?

Marco Respinti è il Direttore del Centro Studi Russell Kirk