Il significato della carta ‘elezioni’ per Assad e l’astensione di Homs
03 Marzo 2012
Domenica scorsa nella turbolenta Siria si è tenuto il referendum per cambiare la Costituzione e il governo ha rivendicato uno straordinario successo dei “sì” all’89, 4%. Dal canto suo l’opposizione contesta i risultati. Il Ministro dell’Interno ha dichiarato che nella tristemente nota città di Homs, dove gli scontri tra l’esercito e gli oppositori al regime di Bashar Al-Assad sono più cruenti, molti hanno boicottato il referendum, poiché ritengono ormai “tardive e irrilevanti” le riforme promesse dal presidente siriano, tanto più che prosegue la carneficina contro la popolazione in rivolta.
Due gruppi di attivisti hanno denunciato l’uccisione di 60 uomini mentre tentavano di lasciare Homs. Nella sola giornata di Lunedì è stata data notizia che si sono avuti 125 morti, il numero più alto di vittime da quando questo mese il governo siriano ha cominciato a lanciare attacchi di artiglieria contro la città. Donne e bambini sono stati presi in ostaggio. Vista la situazione, per i gruppi internazionali di aiuto e per i giornalisti è anche difficile raggiungere Homs.
Nel frattempo nuove sanzioni economico-politiche su Damasco sarebbero in arrivo da parte dell’Unione Europea: sulla Banca centrale siriana e su sette ministeri governativi. In un recente incontro dei Ministri degli Esteri dell’UE è stato firmato un accordo per il divieto dei voli cargo dei vettori aerei siriani e sul commercio di oro, diamanti e altri metalli preziosi con la Siria.
Venerdì scorso, a Tunisi, i ministri europei hanno anche riconosciuto la legittimità della grande coalizione di opposizione del Consiglio Nazionale Siriano (CNS) e il suo sostegno alla popolazione civile. Inoltre i Ministri hanno chiesto all’opposizione di lavorare in modo più coeso. Tale appello è arrivato in seguito all’abbandono del CNS lunedì da parte di 20 dei suoi membri, sfiduciati per l’attività dello stesso Consiglio e intenzionati a sostenere la dissidente Free Syrian Army.
Intanto il governo siriano esulta per l’affluenza alle urne, che afferma essere pari al 57,4% su 14.5 milioni di aventi diritto al voto: il regime parla di inizio della democrazia. Bashar Al-Assad si è infatti impegnato ad aprire il sistema politico all’inizio di quest’anno, dopo 11 anni al potere con un partito unico: il partito Baath, il suo e quello di suo padre Hafez. Inoltre con le nuove riforme il presidente siriano vedrebbe limitati i suoi poteri a due mandati di 7 anni ciascuno (il che però significa, obiettano i dissidenti, che egli rimarrebbe in carica fino al 2028).
La realtà della stessa spietata repressione delle proteste smentisce le buone intenzioni del capo di Stato siriano, salito al potere a soli 35 anni senza alcuna preparazione politica (egli studiava oftalmologia a Londra quando, nel 1994, venne designato dal padre a succedergli dopo la morte, in un incidente d’auto, del suo fratello maggiore Basil, erede designato). I dissidenti non credono più a Bashar e vogliono le sue dimissioni.
Non è da meno la comunità internazionale: il Segretario agli Esteri britannico William Hague ha dichiarato che il referendum di domenica in Siria “non inganna nessuno” ed insiste sulle sanzioni finanziare contro il regime del Paese mediorientale. Lo stesso fa il resto della UE, assicurando comunque che le “legittime” attività commerciali con “lo Stato canaglia” continueranno, anche se a particolari rigide condizioni.
Inoltre i 27 Paesi dell’Unione europea hanno chiesto al regime siriano di permettere l’arrivo di aiuti umanitari alla popolazione civile e riterrebbero il regime responsabile di eventuali violenze alle organizzazioni umanitarie. L’UE comunque eventuali interventi militari. Intanto dai Paesi arabi, Qatar in primis, arrivano appelli per far arrivare armi ai rivoltosi.