Il silenzio delle innocenti

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Il silenzio delle innocenti

09 Luglio 2016

In primo piano c’è un uomo che, seduto sul pavimento, gioca con la biancheria di un altro ‘soldato’ burlandosene con altri due colleghi. Ride, scherza. C’è un’atmosfera rilassata e conviviale. Nella stanza accanto una donna sta subendo uno stupro. Di sottofondo le urla lancinanti, disperate, della vittima. È un video mandato in rete dal Daily Mail. Non un video ufficiale, ma semplicemente trovato nella memoria del cellulare di un combattente morto a Shirkat vicino Mosul. E immortala il sonoro della tragedia che si consuma senza sosta, anche mentre scriviamo, ai danni delle migliaia di prigioniere yazide, turkmene e cristiane schiavizzate dallo Stato islamico.

Non sono pubblicizzate sui giornali, ma adesso, per caso, abbiamo potuto sentirle. In lontananza, come in ogni incubo che si rispetti. Eppure il loro non è un urlo silenzioso, ma silenziato. Un video del genere lascia uscire il fetore della dimensione atroce di quel mondo, e che i media ci nascondono. Troppo impegnati a rendere virali un altro genere di filmati, come quelli che pubblicizzano i diritti che non esistono. Per esempio. 

Perché in giro non viene raccontato che dopo aver attaccato un villaggio, lo Stato islamico separa le donne dagli uomini, le denuda e dopo un test di verginità, le classifica in base a bellezza e dimensioni del seno? Subito dopo vengono messe sul mercato. Quelle più belle hanno i prezzi più alti, ovviamente. Stuprate e poi messe in vendita. Più o meno così funziona.

In questi giorni l’Associated Press ha pubblicato un ampio reportage dai particolari agghiaccianti.  L’Isis tiene sott’occhio le ultime tendenze in fatto di tecnologia: è attraverso le applicazioni più in voga (Facebook, Telegram e WhatsApp) che ora aggiorna i listini delle sue schiave. Condivide infami database che contengono foto e nomi dei loro padroni, in modo che, in caso di fuga, qualsiasi posto di blocco dell’Isis può essere in grado di riportarle in catene. 

Nel reportage troviamo la testimonianza di una diciottenne rapita nel 2014. I soldati se la scambiavano tra di loro per picchiarla e violentarla. Dopo quattro tentativi è riuscita a scappare. Era con altre due compagne di otto e vent’anni, loro non ce l’hanno fatta perché c’era una mina ad aspettarle. Nella fuga ha perso l’occhio destro e il suo viso, sfregiato com’è dalla pelle fusa dall’esplosione, è testimone della sua tragedia. Ma si considera fortunata: “Ringrazio Dio perché sono riuscita ad andarmene via. Ne sarebbe valsa la pena anche se avessi perso entrambi gli occhi. Da qualche parte c’è prigioniera, però, anche mia sorella di 9 anni”.

Non si scandalizzino per l’età i benpensanti. Le immagini, ricavate da un uomo, le cui figlie e la moglie sono detenute come schiave sessuali, mostrano donne che non hanno mai più di 30 anni, e alcune sembra che abbiano appena finito le elementari. L’Associated press riporta, poi, anche la traduzione di un messaggio inviato attraverso una delle applicazioni usate dai jihadisti: “Vergine. Bella. 12 anni … Il prezzo ha raggiunto i 12.500 dollari, presto sarà venduta.”

Si parla di donne, ma le donne occidentali che possono permettersi il lusso di parlare, scrivere e denunciare, tacciono.  Perché lo stupro targato islam non genera stupore, condanna, indignazione, manifestazioni di piazza?

Forse perché le femministe europee e americane si sono persuase di abitare loro stesse una “cultura dello stupro”, ma che rivendica la parità di sesso e di stipendi, in una mistificazione della natura e della realtà, che le vuole succube di una società patriarcale. Il multiculturalismo è relativismo. E in questo sono coerenti. Sono erinni impegnate in un altro genere di battaglie, meno pericolose di certo.

Zineb El Rhazoui la giornalista sopravvissuta – e ricercata numero uno – all’attentato di Charlie Hebdo, lo denuncia senza mezzi termini il silenzio cui ci stanno abituando: “la gauche, la sinistra, si sente obbligata a essere carina con l’islam. […] C’è un universalismo dei diritti per tutti. E di doveri. Usano invece questa accusa incredibile di ‘islamofobia’, che è una impostura intellettuale inventata dai mullah iraniani per chiudere la bocca a coloro che criticano l’islam. Sono cresciuta nell’islam, ho dovuto imparare il Corano a memoria. E quando critichi l’islam nei paesi musulmani ti imprigionano, ti attaccano fisicamente, ti processano, ti uccidono. In democrazia se critichi l’islam ti accusano di ‘islamofobia’. Sono due facce della stessa medaglia.”

L’emozionale tsunami retorico dei vari ‘Je Suis’ è il prezzo di un ruolo banale nella commedia farsesca del politicamente corretto. Ma almeno Plauto teneva tra i protagonisti gli schiavi. Noi, no. Delle schiave del sesso non parliamo.

Il cuscino sembrerà pure comodo, ma non fa dormire sogni tranquilli a lungo andare. Restano le urla da lontano. 

[Nella foto in apertura, pubblicata da Gatestone Institute, Isis espone donne yazidi in piazza]