Il sindaco Dipiazza e le bugie della Cirinnà
13 Agosto 2016
Alla stregua di un romanzo melenso e da quattro soldi, uno di quelli su cui diventa facilissimo strappare le lacrime, così è stata raccontata la vicenda della coppia omosessuale di Trieste che voleva “formalizzare l’unione”. Succede che due triestini, un quarantottenne e un sessantaquattrenne, fanno richiesta al Comune di Trieste di celebrare la loro unione, ma viene loro comunicato che la cerimonia non si svolgerà nella sala matrimoni del Comune. Giammai si accetti una simile onta! Ecco repentini sdegno e litri d’inchiostro di accuse.
E subito, accanto all’Arcigay, che ha annunciato un ricorso in prefettura, arriva in divisa da combattimento anche Monica Cirinnà: “Il sindaco non ha nessuna possibilità di scelta. Deve applicare. Punto. Ci sono anche altri comuni che stanno facendo questo, ma stanno facendo una cosa contro la legge. Il comma 20 della legge 76/2016 prevede in modo esplicito che in qualunque atto normativo ricorra la parola coniuge, coniugi o matrimonio: esso si applica anche alle unioni civili. Inclusi i regolamenti comunali.”
Nessuna possibilità di scelta? Per mesi abbiamo dovuto ingoiare le litanie del governo, e di parte del Pd, che volevano convincerci che quello non era mica un matrimonio. La celebrazione sarebbe solo il simbolo di un diritto, figlio del progresso che, nel 2016, è “davvero ridicolo veder latitare in un Paese come l’Italia” (Sic!). Ma se non è ‘matrimonio’ allora ha pienamente ragione l’Assessore ai servizi al Cittadino, Michele Lobianco, quando dice che “l’unione civile non è il matrimonio: giusto quindi distinguere bene le due cose” e perciò niente sala dei matrimoni, ma una “location” che meno ricordi il rito matrimoniale.
Dobbiamo dargli torto, cara Cirinnà? Quante bugie ci ha raccontato, senatrice? E prima volevate assolutamente sovrappore matrimonio e unioni dello stesso sesso, nel suo ddl la parola matrimonio saltava fuori praticamente ovunque, ma c’era la sentenza 138 della Corte costituzionale a sbarrarvi la strada: per famiglia si intende quella fondamento della società naturale, uomo e donna, come recita la nostra Costituzione. Così, dopo i rilievi emersi dal Colle (con gli esperti del Quirinale impegnati a ricordare che per “coniugi” si intendono persone di sesso diverso), avete ripiegato sulle “formazioni sociali specifiche” all’articolo 2 della Costituzione. Adesso che la legge è tale, si scopre (ma noi lo abbiamo sempre sostenuto!) che era solo un cavallo di troia, e che nelle intenzioni del Pd c’era quella di trasformare le unioni in un istituto inventato di sana pianta ma equiparabile, di nuovo, al matrimonio.
Il sindaco di Trieste, Dipiazza, è peraltro in buona compagnia. Come lui anche a Padova, a Brescia e altrove, ci sono sindaci che non vogliono allinearsi, e che prendono per vere le argomentazioni sbandierate dagli stessi promotori della legge: non è un matrimonio, non si possono confondere i due istituti, tant’è vero che si richiamano in modo esplicito due diversi articoli della costituzione. Ma la reazione della Cirinnà fa capire quanto questa differenziazione, proclamata ai quattro venti quando si trattava di votare la legge, fosse puramente strumentale, un trucco banale.
Cara senatrice Cirinnà, nel dribblare le sue bugie ci siamo scontrati con altri limiti della legge che porta il suo nome. Scusi l’ignoranza, e ci conceda almeno un po’ di libertà d’espressione, mentre ci permettiamo di domandarle: se la correlazione di diritti e doveri contempla, sempre, la dimensione di libertà, perché la sua legge non prevede nemmeno l’obiezione di coscienza? L’obiezione di coscienza dovrebbe riguardare il tema del rapporto tra Stato e singolo individuo, ma per quel che concerne le unioni civili, la cosa non è prevista. Forse perché allo stato sovrano non si disobbedisce? Non è più vero che a tutti spettano gli stessi diritti? Ci tocca sul serio rimettere le lancette indietro e sentirci abitanti di uno stato etico simil Unione Sovietica!?
Abbiamo, poi, letto che le associazioni omosessuali promettono la pubblicazione a breve di una vera e propria “lista nera” di sindaci che si rifiutano di celebrare le unioni omofile. L’intento è quello di inviare un esposto anche all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori. Siamo alle liste di proscrizione, quindi?
Proprio lei ha, inoltre, recentemente emesso un anatema davvero indispettito: “I sindaci che fanno una cosa così squallida, così triste, così brutta si qualificano da soli. Per fortuna sono una minoranza. E alla fine la storia li seppellirà”.
Era il motto dei bolscevichi. Che davvero ne hanno seppelliti tanti, tantissimi. Ma alla fine la storia ha seppellito loro.