Il sistema bancario dopo la crisi

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Il sistema bancario dopo la crisi

Il sistema bancario dopo la crisi

01 Giugno 2021

Il sistema produttivo, economico e sociale che si andrà configurando dopo la prima pandemia dell’era globale dovrebbe e potrebbe uscire dalla crisi più forte e resiliente di come vi era entrato. Il dramma del Covid è stato utile a portare allo scoperto tutte le fragilità del nostro mondo e i rischi catastrofici ai quali l’umanità va incontro se non saprà capire, fino in fondo, la lezione e riformare sé stesso. Dunque, ci attende una rivoluzione importante che riguarda anche il sistema bancario sottoposto a una verifica critica in alcuni suoi aspetti che già la crisi del 2008 aveva messo pesantemente in discussione. Il modello di banca universale sbilanciata nell’investment banking – ovvero verso l’attività finanziaria e di affari – la cui redditività dipende dalla presenza sui mercati finanziari con una alta propensione al rischio, un modello considerato il solo possibile nel futuro e al quale ogni istituto di credito avrebbe dovuto uniformarsi per continuare a essere produttivo, ha mostrato tutti i suoi limiti strutturali fin dal fallimento della Lehman Brothers nel 2008. Quell’idea, apparentemente vincente, aveva messo in moto numerose operazioni per la creazione di strutture e conglomerati di rilevanti dimensioni ma, alla prova dei fatti, ha mostrato un’estrema debolezza dovuta alla minore capacità di risolvere problemi quali l’accumulo delle sofferenze con l’inevitabile conseguenza di compensare l’inefficienza derivante dall’attività svolta in un determinato campo con quella esercitata nell’altro, portando nella problematicità sia l’uno che l’altro. La crisi finanziaria e la conseguente regolamentazione prudenziale – introdotta per evitare rischi sistemici e l’utilizzo di risorse pubbliche impiegate in diverse situazioni quale giustificazione del too big to fail – hanno visto i mercati bocciare proprio i grandi conglomerati finanziari che agivano su diversi piani contemporaneamente – quello delle attività finanziarie e quello del retail banking – proprio per l’insita ambiguità derivante dal contemporaneo svolgimento di attività tra loro diverse, con naturale e conseguente effetto negativo sull’economia reale e sull’occupazione. Una spirale pericolosa che ha portato alla crisi economica statunitense e che, in Europa, già prima della pandemia aveva fatto la sua vittima più autorevole nella Deutsche Bank entrata in una lunga crisi ancora non risolta. Ora il problema si ripropone con la diffusione di prodotti “opachi” e con elevata leva finanziaria che le autorità di vigilanza europee stanno provando, non senza difficoltà, a tenere sotto controllo. Una spirale che però rischia di riproporsi incoraggiata dalla tentazione di cercare, attraverso l’assunzione di rischio, la soluzione più rapida alle ristrettezze di bilancio tanto più quando la grande quantità di risparmio, accumulato in questi mesi e “parcheggiato” nei conti corrente, dovrà essere ricollocato.

Al contrario il sistema del Credito popolare con la sua fitta rete di banche del territorio si è rivelato fondamentale per mantenere vitale il tessuto produttivo ed imprenditoriale. Le Banche popolari, fin dalle prime settimane della pandemia – anche prima dei provvedimenti del Governo – hanno messo in atto interventi mirati in favore delle aziende, del commercio e delle famiglie: provvedimenti per contribuire nell’immediatezza dell’emergenza a garantire la sopravvivenza del tessuto produttivo e la sussistenza di persone e famiglie; provvedimenti che tutti gli istituti della categoria hanno realizzato ovunque e non solo nelle aree più colpite confermandosi parte integrante delle comunità nelle quali operano. Piccoli e medi imprenditori grazie alle Banche popolari, hanno potuto, malgrado il dramma della crisi, dar vita o rilanciare attività produttive, rendendo possibile salvare o guadagnare posti di lavoro così come tante famiglie hanno potuto acquistare una casa. Tutto questo è stato possibile grazie ad una presenza ramificata e capillare nei singoli territori e grazie alla cura del capitale relazionale. Questa capacità di discernere, questo patrimonio di conoscenze e di legami che la banca instaura quotidianamente con i propri soci e clienti – figure spesso coincidenti e appartenenti al tessuto produttivo locale – e che assicura alle banche del territorio più di ogni altro soggetto economico, la capacità di discernere, sarà ora – superata l’emergenza – prezioso anche per accompagnare razionalmente le ingenti risorse che arriveranno nei prossimi mesi dall’Europa.

Si aggiunge, poi, un altro elemento determinante per lo strutturarsi del sistema bancario: la riconversione tecnologica. Lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della tecnologia già da oltre un decennio stanno trasformando la nostra società e la sua economia. I servizi digitali cambiano preferenze e abitudini fino ad arrivare a modificare i processi produttivi e distributivi. Già prima della crisi pandemica, anche nel nostro Paese, si era registrata, ad esempio, una progressiva crescita nell’utilizzo degli strumenti di pagamento alternativi al contante per effetto sia del rapido sviluppo tecnologico, sia degli interventi normativi a sostegno dell’efficienza e della sicurezza nei pagamenti. L’emergenza sanitaria e i provvedimenti per contenere la diffusione del contagio hanno fatto il resto intensificando in modo persistente l’utilizzo di strumenti elettronici. È così sempre più evidente che l’innovazione porterà a profondi mutamenti nel modo di “fare banca” di molti intermediari creditizi e a un’ulteriore rivoluzione del modello di business bancario. Il Credito popolare non è rimasto indietro avendo investito in termini di risorse economiche e umane già da anni e ora ha difronte a sé un compito e una funzione ben precisi. Il crescente sviluppo dei mezzi tecnologici digitali e del loro sempre più frequente utilizzo non può essere affrontato non tenendo conto del crescente invecchiamento della popolazione. E questa una delle maggiori sfide della società moderna. I trend demografici non lasciano spazio a dubbi, la popolazione nord-americana ed europea sta invecchiando e, in questo contesto, l’Italia è uno dei Paesi in cui (complice anche la “crescita zero”) la terza età rappresenta una percentuale notevole della popolazione. A inizio 2021 le persone che hanno oltre sessant’anni sono quasi 18 milioni e rappresentano un terzo della popolazione, con insignificanti oscillazioni tra nord, centro e sud.

L’avanzare della digitalizzazione rischia, così, di escludere e isolare tutte quelle persone che non possiedono le capacità e le competenze necessarie a rimanere al passo con il progredire dell’innovazione tecnologica e della digitalizzazione e che senza il supporto “umano” che può dare loro un istituto bancario sarebbero messi fuori non tanto e non solo dal processo produttivo e lavorativo ma, peggio, anche da quello sociale. Il graduale “superamento” dell’uso del contante è soltanto un esempio di questo problema e dei rischi che esso comporta. Se infatti, i pagamenti digitali via app tramite smartphone presentano oggi l’indubbio vantaggio di abilitare un’economia informale di scambio peer-to-peer, per certi versi più sicura di quella basata sui pagamenti in contante, nondimeno la diffusione ulteriore dei pagamenti in mobilità si scontra oltre che con i limiti tecnici dei dispositivi (copertura di rete, durata della batteria), con resistenze oggettive di carattere anagrafico e culturali via via crescenti, come abbiamo visto, in ampie parti della popolazione. Il Sindaco di Bentivoglio, un piccolo centro nella provincia di Bologna, lo scorso mese ha denunciato, come un fulmine a ciel sereno e non senza preoccupazione, la chiusura dei due sportelli bancari presenti. I motivi sono i soliti: ’razionalizzazione e ridefinizione’ delle filiali sul territorio. La risposta dei cittadini non si è fatta attendere: “Siamo venuti a conoscenza della chiusura degli sportelli bancari, e riteniamo che ciò rappresenti un ulteriore grosso problema soprattutto per le persone anziane, fragili e con disabilità. Spesso si sente dire che è importante tutelare i più deboli, ma questa decisione va in senso opposto. La popolazione di Bentivoglio è costituita da una buona percentuale di anziani. Avere lo sportello bancario anche solo un paio di giorni alla settimana permetterebbe di organizzarsi e di mantenere autonomia. Se si valuta l’esigenza di conoscenze che il rapporto online presuppone, ci si rende conto che una grossa fascia di popolazione viene isolata per mancanza di mezzi e competenze”.

Nel 2020 in Italia sono stati chiusi 831 sportelli e oggi le filiali operanti sono 23.481, il 3,4% in meno rispetto al 2019: il numero più basso degli ultimi 25 anni. Per la prima volta alcuni tra i maggiori quotidiani cominciano ad avvertire il problema con preoccupazione come fenomeno che amplia le diseguaglianze, crea una zona grigia e alimenta la criminalità organizzata. Le conseguenze disastrose che la chiusura delle filiali bancarie stanno avendo in certe aree interne o di montagna cominciano a farsi evidente. Fino a che punto una persona anziana può utilizzare una app di pagamento concepita da e per utenti più giovani? Ma il problema non riguarda soltanto gli anziani. In che misura i bambini possono maturare la consapevolezza del valore del denaro, se la versione digitale di quest’ultimo assomiglia a una password numerica con cui è possibile “accedere” illimitatamente a beni e servizi? Quali tutele sono previste, nelle app bancarie e fintech, per coloro che soffrono di dipendenza dal gioco? E in che misura le donazioni via app tramite smartphone, possono contribuire all’inclusione finanziaria di persone senza fissa dimora, quando queste sono prive di uno smartphone o di una connessione alla rete (digitale ed elettrica) costante e gratuita? Le tecnologie digitali autonomamente non sono in grado di adattarsi ai bisogni e alle esigenze delle persone. La personalizzazione dalle app fintech ai social media e ai motori di ricerca, è di tipo esclusivamente algoritmico e indirizza l’utente verso determinati contenuti o servizi in base a un’analisi dei suoi comportamenti passati ignorando, tuttavia, la dinamicità delle sue esigenze attuali (e soprattutto future). Il cliente fintech è giovane, occupato a tempo pieno, istruito, a suo agio con la tecnologia, senza debiti, senza debolezze o fragilità psicologiche, con genitori ancora autonomi al seguito. Il mondo però è non fatto da questa unica tipologia di persone. Non accorgersi della varietà delle casistiche umane rappresenterà sempre più un problema. Le soluzioni a disposizione del “cliente tipico” non sono altrettanto funzionali a rispondere alle necessità di anziani, bambini, disoccupati, lavoratori precari, disabili, persone con fragilità psichiche o non-urbanizzate. Bisogna allora farsi carico dell’impossibilità di alcune persone di utilizzare a proprio vantaggio tecnologie progettate per un ristretto numero di individui.

La rivoluzione digitale per il sistema produttivo, economico e sociale può essere una delle migliori garanzie di ripresa e crescita per l’intero sistema ma sarà indispensabile ricorrere alle competenze bancarie e a quell’operatività che unisce il ruolo della banca con la crescita dell’economia reale e con la tutela delle persone più fragili. Basti ricordare che, quando si è pensato che si potesse fare a meno della dimensione umana, puntando tutto sulla disintermediazione e sulle dimensioni globali dei grandi conglomerati industriali e finanziari, si è prodotta la più grande crisi che l’economia occidentale abbia mai conosciuto sulla quale poi la pandemia ha fatto il resto. Riconoscere questo è essenziale per ripartire invertendo la rotta, nella consapevolezza della necessità e centralità di quel patrimonio del nostro capitale umano che esiste già. Per questo, dalla crisi e dall’innovazione tecnologica il ruolo di intermediazione creditizia tradizionale che le banche del territorio hanno sempre garantito, anche quelle di dimensione piccola e media, non potrà che uscire rafforzato.

*Segretario Generale, Associazione Nazionale fra le Banche Popolari