Il sistema di elezione del Presidente negli Stati Uniti d’America
05 Novembre 2012
L’assetto istituzionale degli Stati Uniti si basa su tre punti fondamentali, quali una rigida divisione tra i poteri dello Stato, il forte peso politico assegnato al Presidente che nelle intenzioni dei “Padri Fondatori” della nuova nazione doveva assumere lo stesso ruolo di cui disponeva allora il Sovrano nel Regno Unito e la presenza di un ordinamento federale per il Paese.
Le ragioni della scelta dell’assetto istituzionale e del sistema di elezione presidenziale
Durante i lavori della “Convenzione” tenutasi a Philadelphia dal Maggio al Settembre 1787 vennero presentati diversi progetti per dare una nuova struttura istituzionale che sostituisse il precedente assetto confederale da più parti ormai ritenuto del tutto inadatto per fronteggiare i problemi politici ed economici del Paese. Tuttavia, i piani avanzati non trovarono l’approvazione dei delegati e fu solo alla fine dei lavori, quando sembrava che la “Convenzione” dovesse risolversi in un fallimento, che fu trovato un accordo su una proposta indicata come “Compromesso del Connecticut”.
Il piano prevedeva che il legislativo fosse di tipo bicamerale, composto da una Camera dei Rappresentanti eletta a suffragio popolare in cui ogni Stato avrebbe eletto un numero di deputati in proporzione alla sua popolazione e da un Senato dove invece tutti gli Stati avrebbero disposto di due senatori designati attraverso un voto espresso dalle diverse legislature, mentre il Presidente, posto a capo dell’esecutivo, sarebbe stato eletto in maniera indiretta da un “Collegio Elettorale”. Il perché fu adottato questo particolare sistema per l’elezione del Capo dello Stato va ricercato essenzialmente nello scetticismo espresso dai delegati verso le altre due soluzioni avanzate, quali quella di far eleggere il Presidente dal Congresso o di affidarne la scelta direttamente agli elettori.
La prima fu respinta in quanto per molti affidare l’elezione al legislativo non solo avrebbe portato a continui compromessi sulla scelta della personalità e favorito il voto di scambio tra i parlamentari ed i diversi candidati, ma anche posto a rischio il principio sulla divisione dei poteri su cui si fondava il testo costituzionale.
L’idea di porre l’elezione nelle mani della popolazione, anche se incontrava il favore di alcuni esponenti come Madison, sollevava invece forti dubbi nella maggioranza dei delegati, convinti che i cittadini non disponessero della necessaria preparazione e fossero anche condizionabili da fattori esterni.
Non mancavano anche ragioni pratiche a rendere di difficile attuazione l’idea di un’elezione popolare. Gli Stati Uniti contavano allora solo quattro milioni di abitanti sparsi su un vasto territorio dove le comunicazioni erano alquanto difficili, tutti elementi che rendevano di fatto impraticabile lo svolgimento di una campagna elettorale nazionale.
Per questi motivi si scelse così l’elezione indiretta affidando la scelta del futuro Capo dello Stato a un gruppo di persone esperte – i “Grandi Elettori” – che avrebbero valutato con maggior attenzione il profilo dei diversi candidati, un sistema questo che rifletteva la concezione dello Stato e della politica dei “Padri Fondatori” i quali non vedevano con favore la presenza di partiti politici ritenuti portatori di divisioni e non avevano grande fiducia nelle qualità del popolo.
La stessa Costituzione, che rappresenta tuttora il più antico testo costituzionale in vigore, si caratterizza per la sua estrema concisione, limitandosi a definire solo le prerogative attribuite al Presidente, al Congresso ed alla Corte Suprema nonché i poteri del governo federale e di quelli dei diversi Stati dell’Unione. Questa si compone infatti di appena sette articoli e ventisette emendamenti e, come ricordato più sopra, si caratterizza per la rigida divisione tra i poteri e per il federalismo, un principio quest’ultimo introdotto non solo per venire incontro alle aspirazioni autonomiste dei singoli Stati dell’Unione ma anche perché sarebbe stato effettivamente difficile adottare un’amministrazione centralizzata date le differenze esistenti tra le diverse aree del Paese. Ma dov’è che più emerge l’unicità del testo costituzionale sta nel forte ruolo assegnato al Presidente, a cui sono attribuite le funzioni di Capo dello Stato e del Governo.
Il sistema di elezione del Presidente e le sue caratteristiche
Il procedimento di elezione del Presidente negli Stati Uniti si presenta estremamente lungo e complesso e in oltre due secoli di storia non ha subito alcuna modifica sostanziale. In base al dettato costituzionale, per partecipare alle elezioni presidenziali è necessario avere 35 anni di età, essere cittadino americano per nascita e risiedere negli Stati Uniti da almeno 14 anni, una disposizione questa che esclude chi abbia acquisito la nazionalità per naturalizzazione nonché i residenti a Portorico, Isole Vergini Americane, Guam, Samoa Americane e Marianne Settentrionali in quanto “territori non incorporati” degli Stati Uniti.
Il primo passo è costituito dalle elezioni primarie che i Democratici e i Repubblicani tengono nei vari Stati del Paese tra Gennaio e Giugno dell’anno elettorale, anche se gli esponenti di entrambi i partiti che intendono parteciparvi sono soliti annunciare la loro candidatura diverso tempo prima dell’avvio delle consultazioni allo scopo di acquistare visibilità presso l’elettorato.
Le primarie possono svolgersi in due modi diversi, il primo è quello del “Caucus” dove la scelta del candidato avviene per mano di un’assemblea dei rappresentanti locali del partito, il secondo invece è quello di una consultazione popolare che può essere “aperta” quando un elettore può scegliere tra tutti i candidati presentati dalle diverse formazioni, oppure “chiusa” dove al contrario è consentito esprimere la preferenza solo per gli esponenti del partito per cui si risulta registrati.
I candidati che nel corso delle primarie hanno conquistato la maggioranza assoluta dei delegati ricevono la nomination a concorrere per la Casa Bianca dalle rispettive “Conventions”, nel corso delle quali viene ufficializzata anche la designazione del vice-Presidente che formerà il “ticket” per la campagna elettorale e che, secondo la Costituzione, non deve provenire dallo stesso Stato di origine dell’aspirante alla presidenza.
Successivamente, i due candidati provvedono a designare le persone che andranno a ricoprire l’incarico di Elettore presidenziale, scelte nei diversi Stati attraverso diverse procedure. La campagna entra così nella fase decisiva che culminerà nel voto di Novembre. La data delle consultazioni è infatti stabilita da una legge del 1845, che fissa appunto nel primo martedì che segue il primo lunedì del mese di Novembre il giorno in cui tenere le elezioni presidenziali.
Il Presidente è eletto in maniera indiretta da un collegio di 538 “Grandi Elettori” in rappresentanza dei 50 Stati dell’Unione e del District of Columbia (D.C.), territorio dove è situata la capitale federale Washington, che dispongono di una quota di Elettori pari a quella dei senatori e dei deputati che ognuno di essi elegge al Congresso. Se ogni Stato dispone di 2 senatori, il numero dei deputati che gli spetta varia invece a seconda della popolazione residente, di modo che un incremento o una diminuzione dei suoi abitanti comporterà un analogo effetto sui membri che questo eleggerà alla Camera dei Rappresentanti.
La revisione del numero di deputati assegnati ai diversi Stati e di conseguenza quello degli Elettori presidenziali spettanti viene effettuato sulla base dei risultati del censimento tenuto sul territorio nazionale ogni dieci anni.
Il Presidente degli Stati Uniti è eletto per 4 anni ed è rieleggibile solo per un secondo mandato, limite questo che venne introdotto nel 1947 con l’approvazione del XXII Emendamento. In precedenza non esisteva nessun limite alle rielezioni, come dimostrano le quattro vittorie consecutive ottenute da Roosevelt tra il 1932 ed il 1944. Per essere eletti è necessario conquistare la maggioranza assoluta nel Collegio Elettorale – oggi fissata in 270 “Grandi Elettori” – indipendentemente dal fatto che questa corrisponda a un analogo successo in termini di consenso popolare. Ininfluente a livello nazionale, il voto popolare diviene invece di fondamentale importanza nei singoli Stati, dato che al candidato vincente all’interno di uno Stato vengano attribuiti in blocco tutti i “Grandi Elettori” di cui esso dispone. La scelta del sistema elettorale spetta alle varie assemblee legislative statali, anche se il metodo generalmente adottato prevede l’elezione popolare su di una lista valida in tutto lo Stato.
Nel Maine e nel Nebraska è in uso però un diverso metodo di elezione, che prevede che due Elettori vengano designati sull’intero territorio statale e i restanti siano invece eletti in ognuno dei distretti elettorali per la Camera dei Rappresentanti, rendendo così possibile che lo Stato esprima dei “Grandi Elettori” di diversi candidati. La stessa organizzazione della consultazione ricade per intero sulle singole amministrazioni statali, che hanno la facoltà di decidere in merito alle eventuali contestazioni sollevate dai candidati e di fissare l’orario di apertura e chiusura dei seggi. Simile più a 50 distinte votazioni che non a un’unica consultazione a livello nazionale, il sistema presenta quindi innumerevoli particolarità e può dar luogo a delle notevoli distorsioni tra il voto popolare e quello del Collegio Elettorale.
Non sono mancati i casi in cui il Presidente eletto si sia fermato ben al di sotto della maggioranza assoluta, cosa che accade quando il candidato di un terzo partito raggiunge una consistente percentuale di voti come fu nel 1968con il Democratico indipendente George C. Wallace o nel 1992 con Ross Perot, o che addirittura risulti sconfitto nel voto popolare, circostanza verificatasi quattro volte nella storia delle elezioni presidenziali. La prima fu nel 1824 quando Andrew Jackson, pur avendo ottenuto circa 40.000 voti in più di John Q. Adams venne da questo sconfitto dal voto del Congresso, la seconda accadde nel 1876 quando il Democratico Samuel J. Tilden ottenne – in una delle elezioni più contestate della storia – oltre 200.000 voti in più rispetto al Repubblicano Rutherford Hayes poi divenuto Presidente grazie ad un solo voto di maggioranza nel Collegio Elettorale, poi ancora nelle elezioni del 1888 in cui il Presidente Democratico uscente Grover Cleveland ottenne quasi 100.000 voti in più dello sfidante Repubblicano Harrison che però conquistò la maggioranza dei “Grandi Elettori” diventando Presidente ed infine nel 2000 quando il candidato Democratico e vice – Presidente in carica Al Gore sopravanzò il Repubblicano George W. Bush di oltre 500.000 voti, conquistando però 267 “Grandi Elettori” contro i 271 del rivale.
Qualora invece nessuno dei candidati ottenga la maggioranza all’interno del Collegio Elettorale è previsto che l’elezione del Presidente spetti alla Camera dei Rappresentanti e quella del vice-Presidente al Senato, una situazione questa accaduta due volte ma in epoca ormai remota.
La prima fu nel 1801 quando Thomas Jefferson e il suo vice-Presidente designato Aaron Burr ottennero entrambi 73 voti elettorali, rendendo così necessario l’intervento della Camera dei Rappresentanti che in seguito elesse Jefferson con il voto di 10 Stati contro i 4 di Burr, mentre la seconda occasione in cui la Camera dei Rappresentanti venne incaricata dell’elezione fu nel 1825, quando elesse John Q. Adams con il voto favorevole di 13 Stati su 24, dato che in precedenza nessuno dei quattro candidati alla presidenza – Andrew Jackson, John Q. Adams, William Crawford ed Henry Clay – aveva conseguito la maggioranza nel Collegio Elettorale. Nell’occasione i due rami del Congresso seguono due distinte procedure di voto, visto che se al Senato la votazione avviene per mano dei singoli senatori, alla Camera dei Rappresentanti invece questa avviene non conteggiando i deputati ma gli Stati, un sistema che di fatto rovescia quello usato nel Collegio Elettorale: se qui è necessario conquistare gli Stati che dispongono di un maggior numero di Elettori, nell’elezione per mezzo della Camera dei Rappresentanti diventano invece decisivi anche quelli più piccoli.
La procedura prevede che i deputati di uno Stato – indipendentemente dal partito di appartenenza – si riuniscano e procedano alla votazione e una volta effettuata il candidato alla presidenza che otterrà la maggioranza delle preferenze si vedrà attribuito il voto dello Stato mentre, nel caso in cui i candidati risultassero alla pari, questo sarà considerato “diviso” e non verrà conteggiato nel risultato finale.
Le tappe che portano all’insediamento del Presidente eletto
Avvenuta l’elezione popolare dei “Grandi Elettori” ed effettuata ufficialmente la loro nomina da parte dei Governatori dei diversi Stati, il procedimento elettorale prevede altre tappe prima che il Presidente eletto possa insediarsi alla Casa Bianca. La prima è la riunione dei “Grandi Elettori”– fissata precisamente “il primo lunedì che segue il secondo mercoledì del mese di Dicembre” – nei rispettivi Stati per eleggere formalmente il Presidente ed il vice-Presidente attraverso una votazione che avviene su due schede distinte. Successivamente, il risultato viene trascritto su un certificato che viene inviato al Presidente del Senato per il conteggio ufficiale davanti al Congresso. Va ricordato che nessuna disposizione costituzionale obbliga i “Grandi Elettori” a votare per il candidato che rappresentano. In 26 Stati e nel District of Columbia le leggi statali impongono agli Elettori di farlo prevedendo al contrario delle sanzioni amministrative o penali, anche se tuttavia solo in tre – Michigan, Carolina del Nord e Carolina del Sud – è previsto l’annullamento del voto e la sostituzione dell’Elettore che non rispetta il proprio mandato. In altri 24 Stati invece nessuna disposizione obbliga gli Elettori a seguire le indicazioni del proprio partito.
Non sono inoltre mancati dal 1948 a oggi casi di “Grandi Elettori” che hanno espresso la loro preferenza per un candidato diverso, anche se gli effetti sono stati sempre irrilevanti sul risultato. L’ultimo passaggio dell’elezione presidenziale si svolge a Washington il 6 Gennaio, quando il Congresso riunito in seduta comune e presieduto nell’occasione dal vice-Presidente nel suo ruolo di Presidente del Senato procede al conteggio delle schede pervenute dai diversi Stati e proclama ufficialmente i risultati dell’elezione. A mezzogiorno del 20 Gennaio il Presidente entra in carica prestando giuramento nelle mani del Giudice Capo ( Chief Justice ) della Corte Suprema. Va poi ricordato che nel periodo che intercorre tra il voto popolare e l’insediamento del nuovo eletto, il Presidente uscente conserva intatti tutti i suoi poteri e prerogative. Per concludere, vanno segnalate due particolarità del sistema elettorale americano.
La prima riguarda cosa accade se il Presidente eletto scompare prima della data del suo insediamento. Se questo viene meno prima della riunione dei “Grandi Elettori” è previsto che il “National Committee” del suo partito si riunisca e designi un nuovo candidato per la carica da indicare agli Elettori, mentre invece se il decesso avviene nel periodo di tempo tra l’elezione dei “Grandi Elettori” e la riunione del Congresso a Gennaio, al momento della lettura dei risultati il Presidente del Senato lo dichiarerà deceduto proclamando eletto il vice-Presidente che assumerà così le funzioni presidenziali.
La seconda riguarda la successione presidenziale e il fatto che in nessun caso si procede ad elezioni prima del termine, essendo la data della consultazione elettorale stabilita da una legge federale che fissa senza alternative il voto nel primo martedì seguente il primo lunedì del mese di Novembre. E non essendo prevista nessuna interruzione dell’ufficio presidenziale durante i quattro anni del mandato, per assicurare la continuità dell’incarico é stato stabilito che tutta una serie di personalità sia preposta ad assumerne le funzioni nel caso di contemporaneo impedimento del Presidente e del vice-Presidente.
Secondo quanto disposto dal XXV Emendamento e dal “Presidential Succession Act” del 1947 in caso di morte, dimissioni o rimozione per “Impeachment” del Presidente è previsto che il vice-Presidente gli succeda immediatamente potendo in caso di impedimento temporaneo esercitare provvisoriamente le funzioni presidenziali fino a che il titolare non ne riprenda possesso, mentre qualora anche il vice-Presidente fosse impossibilitato, l’incarico passerebbe prima allo “Speaker” della Camera dei Rappresentanti, poi al Presidente “pro tempore” del Senato ed infine ai diversi membri del Gabinetto presidenziale con una scala che parte dal Segretario di Stato per terminare con quello per la Sicurezza Interna. Se invece fosse il vice-Presidente a dimettersi od a venir meno nel corso del mandato, il Presidente provvederà a designarne un altro in sua sostituzione, nomina che dovrà essere approvata dal Congresso.