Il Soft Power obamiano fallisce di fronte al nucleare dell’Iran

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Il Soft Power obamiano fallisce di fronte al nucleare dell’Iran

Il Soft Power obamiano fallisce di fronte al nucleare dell’Iran

23 Novembre 2011

Barack Obama ha dichiarato durante il summit con la Cina dello scorso 13 Novembre che l’Iran oggi è più isolato dal punto di vista diplomatico di quanto non lo fosse stato in precedenza. Ha quindi aggiunto che le sanzioni adottate dal consiglio ONU hanno avuto un “impatto enorme” su Teheran e che – in questo senso – è stata fondamentale la collaborazione della Cina e della Russia.

Obama è sempre stato convinto del fatto che l’odiato approccio neo-con nei confronti del nucleare iraniano fosse completamente fuori luogo, demodé e anche un po’ rozzo. Durante e dopo la sua elezione non ha mai perso occasione per bacchettare il suo predecessore e tacciarlo di unilateralismo e bigottismo. Quando George W. Bush ha invaso l’Iraq nel 2003 stava portando avanti una “guerra ingiusta”, ed era il minimo che la sinistra internazionale lo tacciasse anche d’imperialismo. Ora che è stato Obama a utilizzare le armi per togliere di mezzo un dittatore come Gheddafi, però, si sente la mancanza di tutte le bandiere arcobaleno e delle manifestazioni pacifiste nelle piazze in giro per il mondo.

Quella che l’amministrazione Obama sta mettendo in atto è una rivoluzione Wilsoniana bella e buona. Il Presidente Woodrow Wilson è quello che presentò i famosi “quattordici punti” su cui l’ordine mondiale si sarebbe dovuto basare all’indomani della Grande Guerra. Si trattava dell’ennesimo manifesto idealista su come instaurare la pace perpetua di stampo kantiano e di campanellesca memoria, tenuto insieme da un po’ di sano utopismo alla Thomas Moore. Wilson era infatti convinto – proprio come Obama – che sarebbe bastata una “generale riduzione degli armamenti” per ridurre anche il rischio che le nazioni si facessero la guerra, al resto ci avrebbe pensato la Lega delle Nazioni, che avrebbe garantito l’indipendenza territoriale e politica a tutti paesi, grandi o piccoli che fossero. Ovviamente il fantastico programma di Wilson non poteva che risultare in uno dei conflitti più sanguinolenti della storia (la Seconda Guerra Mondiale) e non poteva che portare all’avvento di uno dei più schifosi dittatori di tutti i tempi: Adolf Hitler.

Infatti è questa la fine che la storia in genere riserva agli idealisti: una vendetta della giustizia divina in pieno stile Vecchio Testamento basata sulla dantesca legge del Contrappasso. Ora Obama ha ribadito più volte che il vecchio approccio unilateralista di Bush non aveva funzionato con l’Iran e che era tempo di cambiare mentalità e cominciare a “tendere la mano verso il mondo arabo”. Le concilianti tesi obamiane di politica estera sono sostenute da quello che è un po’ unanimemente considerato il genio in erba della politica estera di stampo Democratico: Parag Khanna, già direttore della New American Foundation a soli trentaquattro anni. Per chi fosse interessato, Khanna ha appena pubblicato il suo nuovo libro (il cui titolo italiano è Come Governare il Mondo) in cui spiega che, visto che il mondo è cambiato, anche la diplomazia dovrebbe cambiare con lui e trasformarsi nella “Superdiplomazia”, in cui tutti si occupano di tutto. La ricetta di Khanna – una specie di “facitte ammuina” per la soluzioni dei problemi globali – non potrebbe essere più semplice di così, ma è soltanto apparentemente logica. Il trentaquattrenne autore americano (di origini Indiane), è anche lui convinto infatti che Bush abbia sostenuto un approccio a dir poco bigotto e agito in maniera unilateralista, togliendo di fatto l’America dal concerto delle nazioni.

Il problema è che, a ben vedere, Bush e la sua amministrazione non hanno mai agito in maniera unilateralista e, anzi, hanno sempre cercato (e trovato) la collaborazione delle altre nazioni in qualsiasi fora di politica estera in cui hanno preso parte. Al massimo gli idealisti di sinistra potranno accusare i neo-con di avere utilizzato sistematicamente il così detto meccanismo del “Grilletto Facile” (Grim Trigger), ma non certo di aver agito “unilateralmente”. I teorici delle relazioni internazionali spesso utilizzano la teoria dei giochi per spiegare gli scenari di politica globale e i comportamenti dei vari attori. Il Grim Trigger è un metodo che consiste nel rendere impossibile e sconveniente barare. Gli Stati Uniti hanno utilizzato il grilletto facile ai tempi della guerra in Iraq, quando comunque avevano già incassato il supporto di molti importanti paesi Occidentali (Gran Bretagna, Spagna, Italia, Polonia etc.) ma non il via libera dal Consiglio di Sicurezza ONU (si erano opposte la Russia di Putin, la Siria di Assad e la Francia che ai tempi faceva affari con Saddam). Il Grim Trigger è stato utilizzato anche ai tempi del famigerato protocollo di Kyoto, per evitare di dover rallentare l’economia americana artificialmente in modo da frenare anche l’inquinamento, mentre India e Cina (i paesi che avrebbero inquinato di più entro breve) si sarebbero fatti i beati comodi loro, fuori dagli obblighi del trattato.

Anche nel caso dell’Iran la tanto vituperata amministrazione Bush aveva sempre cercato e ottenuto l’appoggio delle altre nazioni (alla faccia del supposto carattere unilateralista dei neoconservatori americani). Infatti Bush, già nel 2006, era riuscito a far approvare ben cinque risoluzioni contro l’Iran dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU (tre di queste erano sanzionatorie). E in tutte e cinque le volte il consiglio si era espresso all’unanimità (se si eccettua il no dell’Indonesia nel 2008). Obama è fermo a una risoluzione contro Teheran dopo quasi tre anni di presidenza. Ma soprattutto appare chiaro che l’unione d’intenti avversa a un Iran nucleare – che esisteva tra le nazioni più importanti all’epoca dell’unilateralista Bush – sia oggi del tutto scomparsa e abbia lasciato il posto a una non meglio identificata ideologia del “volemose bene”. A ben guadare si tratta dello stesso atteggiamento filosofico alquanto naïve che contraddistingueva gli operatori del settore sinistrorsi i quali spergiuravano sull’onestà intellettuale dell’ex capo della AIEA, Mohammed El-Baradei.

L’appeasement non ha mai funzionato contro i dittatori e contro gli Stati canaglia, ecco perché fino a che Khanna e il suo idealismo pressapochista e anti-Occidentale saranno dietro le scelte di politica estera di Barack Obama dovremmo abituarci all’assenza dell’usuale pragmatismo americano dalla scena politica internazionale. Parafrasando Helmut Schmidt: di Americani non ci stanno più neanche loro, purtroppo.