Il solito Benigni batte la “sorella” di Celentano dieci a nove

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Il solito Benigni batte la “sorella” di Celentano dieci a nove

Il solito Benigni batte la “sorella” di Celentano dieci a nove

30 Novembre 2007

Ora che anche il secondo
asso è calato, possiamo cominciare a chiederci cosa resterà, al di là dello
sbandierato successo, delle serate d’eccezione di Celentano e Benigni, in cui
Rai Uno spera per risollevare decisamente il proprio indice d’ascolto.

I risultati,
pure positivi, hanno mostrato tutta la difficoltà di continuare ad affidare le
sorti della rete a una programmazione eccezionale in extremis. I 9 milioni di
spettatori di media per “La situazione di mia sorella non è buona” sono tanti,
ma non quanti si poteva aspettarsi; e vengono superati dai 10 milioni che hanno
assistito alla prima puntata di TuttoDante, che pure non esorbitano rispetto
agli otto milioni de “Il capo dei capi” sul Canale 5.

Oltre
che al confronto reciproco, entrambi i mattatori si sono trovati esposti alla
sfida di reggere il confronto con se stessi. Arduo per il comico toscano
bissare il successo dell’antivigilia di Natale del 2002, in cui attirò di
fronte al teleschermo dodici milioni di spettatori, così come per il
Molleggiato replicare il successo di “RockPolitik”, che sfiorò il 50% di share
– senza dimenticare che fu proprio Benigni, ospite in una delle puntate, a
regalare a Celentano un picco del 68% con quindici milioni di spettatori. In
entrambi i casi, il match con il passato è perso, anche se tra Celentano e
Benigni si avverte una differenza, resa visibile dallo scarto di ascolti a
favore del secondo.

Il
ripiegamento in un’unica serata, in un’atmosfera che poteva ricordare vagamente
“Viva Radio Due” in un giorno di lutto, non ha giovato al Molleggiato; il suo
show, spudoratamente autopromozionale, è stato aggravato dall’inopportunità dei
sermoni e dal consueto playback malcelato. Travolto dall’ansia di mostrare
quanto sia attuale il suo passatismo, Celentano ha finito per trasformare una
trasmissione – che in idea poteva persino non essere male – in una noiosa
sfilata di ospiti spaesati di fronte al suo pulpito. Al contrario, Benigni ha
preferito la tradizione alle invenzioni estemporanee, anche a costo di
risultare ripetitivo.

Di fatto, la scaletta del comico toscano non ha previsto
sostanziali novità rispetto a cinque anni fa: un incipit a base di satira
politica e di costume, spesso condito di parolacce e “garbati” riferimenti al
sesso (ma quando lo fa Benigni è “cultura”, e non c’è Moige che protesti); una
parte centrale più seriosa, allora dedicata alla pace – in tempi di Afghanistan
e prima dell’Iraq -, stavolta al genio italiano, in particolare quello
rinascimentale; e il dulcis in fundo con
la lettura di Dante, dapprima spiegato verso per verso, poi recitato a memoria,
non senza ispirazione (anche se per cominciare quest’anno la scelta è caduta su
un canto più popolare, il quinto dell’Inferno, che ha offerto a Benigni il tema
per la serata).

E’
emblematico il fatto che, oggi come allora, la preoccupazione per l’Auditel
regni sovrana (nel 2002 Benigni la evocò per esorcizzarla all’inizio della
trasmissione), segnale evidente che, al di là dei proclami di vittoria della TV
di qualità, l’obiettivo da conseguire resta lo share; e poco importa se, a
colpi di prediche e di repliche, questo share è destinato ad assottigliarsi
sempre più..