Il Sud America ‘ruggisce’ ma non riuscirà ad evitare la crisi europea

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Il Sud America ‘ruggisce’ ma non riuscirà ad evitare la crisi europea

28 Gennaio 2012

 La crisi economica può capovolgere i vecchi equilibri. Mentre Europa e Stati Uniti (un po’ di meno) arrancano, nel Sud del mondo, c’è chi corre. L’America latina si sente pronta ad emanciparsi. Da cortile di casa degli Stati Uniti a florido giardino dell’economia globale. Lo sviluppo nell’ultimo decennio si è accompagnato per la prima volta a una sostanziale stabilità politica e a una riduzione delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito. Brasile e Argentina, insieme al Cile, sono le locomotive dell’economia sudamericana del terzo millennio. Ormai anche chi non è un esporto di economia conosce l’exploit del Brasile. Il gigante verde-oro si candida ad essere la nuova stella polare sudamericana.

Il recente sorpasso del Pil carioca ai danni di quello britannico proietta l’economia brasiliana al sesto posto mondiale e ne rafforza la posizione come potenza regionale e globale. La crescita esponenziale osservata in questi anni si combina con una redistribuzione del reddito che ha fatto uscire dalla povertà ben 20 milioni di famiglie e ridotto la disoccupazione a solo il 5% della popolazione attiva. L’Argentina vuole essere l’altro pivot del sistema economico del Sudamerica grazie a i tassi da record che negli ultimi anni hanno mantenuto una media intorno all’8%. La politica economica dei governi Kirchner, tuttavia, non si è mostrata fino ad ora particolarmente lungimirante nel fornire al paese le basi per uno sviluppo stabile e duraturo ma è ancora in tempo per cambiare rotta. Continuare a esportare materie prime e, allo stesso tempo, diversificare il proprio sistema economico. Bisogna eliminare la corruzione e liberalizzare il mercato.

Un modello può essere il Cile, l’economia più libera dell’America latina, dove lo scorso trimestre il Pil cresciuto del 5 per cento. Nonostante la crescita e l’arrivo di investimenti, restano dei dubbi sulla capacità del paesi latino-americani di affermarsi come global player economici. Secondo uno studio del Carnagie Institute non sarà facile non essere coinvolti dal rallentamento dell’economia occidentale. Per l’autorevole think tank americano permangono fattori di rischio come l’inflazione e livelli di produttività troppo bassi. Inoltre i mercati domestici non sono ancora così sviluppati da sostituirsi ai consumatori europei ed americani costretti a tirare la cinghia. Ma oltre al calo dei consumi, l’aspetto più immediato della crisi dei debiti sovrani europei è che la«bilancia finanziaria»dei paesi del Sudamerica si sta spostando decisamente sul piatto delle attività. Riescono ad accumulare dollari ed euro mentre si riduce l’indebitamento pubblico a vantaggio della crescita degli investimenti esteri.

Così l’esposizione finanziaria migliora per effetto dei flussi di denaro che fanno rotta verso Brasile, Argentina o Cile. Questa dinamica può avere delle conseguenze a livello geopolitico anche nel medio periodo. Basti pensare al ruolo crescente che il Brasile riveste in un’istituzione come il Fondo monetario internazionale, dove in anni recenti una nuova sottoscrizione di quote (i«diritti speciali di prelievo") ne ha aumentato il peso, rendendolo un creditore netto Inoltre, secondo alcuni analisti, i Paesi latinoamericani potrebbero beneficiare direttamente della crisi del Vecchio Continente. E questo perché alcune imprese europee potrebbero decidere di aumentare gli investimenti nell’area, alla ricerca di migliori profitti di quelli che potrebbero ottenere all’interno dei confini europei.

Alcuni grandi banche spagnole, ad esempio, ci hanno già pensato: nel 2010 Santander aveva più del 35% dei suoi affari in Brasile, mentre il Banco Bilbao Vizcaya (BBV) circa il 50% in tutta l’America Latina. Fattori che aumentano il peso specifico e contrattuale di questi paesi rendendoli liberi di adottare le politiche più congeniali al perseguimento dei propri interessi. Anche quando l’occidente non è d’accordo. Mentre gli Usa e la Ue cercano le provano tutte per frenare la corsa al nucleare dell’Iran, nel 2010, il Brasile si è permesso di scambiare uranio arricchito con il regime degli ayatollah.