Il suicidio di Kurt Cobain e la distruzione della cultura americana
06 Aprile 2014
di Ron Sokal
Venti anni fa Kurt Cobain, il leader dei Nirvana, veniva ritrovato morto suicida nella sua villa di Seattle. La voce del "grunge" si era tolto la vita sparandosi un colpo alla testa. Come altre stelle del rock, anche Cobain era diventato un tossico, vittima e artefice della maledizione della droga. In queste ore i giornali si esercitano a cercare le origini di quel gesto drammatico nella sua adolescenza tormentata, nel carattere chiuso e nella salute macilenta, rievocando Nevermind, manifesto della Generazione X. Come pure si parla di Courtney Cox e della leggenda nera fiorita intorno alla coppia, tra matrimonio, figli ed eroina. In realtà Cobain e’ stato un estremista "liberal", un artista impegnato a distruggere dalle fondamenta le basi morali dell’America, per esempio la famiglia tradizionale, che lui e il bassista dei Nirvana, Novoselic, una volta decisero di parodiare con violenza al Saturday Night Live. Aperto sostenitore della omosessualità come norma, difensore del femminismo più radicale, abortista, Cobain ha collezionato pose e dichiarazioni anti-cristiane. Vent’anni fa se ne andava un anarchico, lo stesso simbolo che si vede sulle magliette delle cheerleaders in Smells like a spirit.