Il “Tea Party” ha suonato la sveglia. I Repubblicani si sveglieranno?

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Il “Tea Party” ha suonato la sveglia. I Repubblicani si sveglieranno?

20 Maggio 2010

Il movimento del Tea Party è una “forza di governo”? A chiederselo sono migliaia di cittadini americani, uno stuolo lungo così di opinionisti e commentatori, i vertici dei due partiti maggiori della scena pubblica statunitense, ma soprattutto il movimento stesso, il quale se certamente non ha ancora del tutto deciso cosa “fare da grande”, altrettanto certamente questo suo attendismo tattico se lo sta centellinando a piccoli sorsi proprio come si fa con la nobile bevanda che né è divenuto marchio e simbolo. Ogni mossa affrettata, infatti, e qualsiasi passo falso potrebbero compromettere del tutto un futuro che si annuncia comunque importante.

Dal canto proprio, poi, entrambi i partiti maggiori hanno, rispetto ai “Tea Party”, di che gongolare e al contempo tremare. La decisa politicizzazione del Tea Party Movement potrebbe infatti rafforzare i Repubblicani e quindi per converso intimorire i Democratici, ma allo stesso tempo il “Tea Party” potrebbe persino decidere di fare tutto da sé, svantaggiando ampiamente il Grand Old Party (il Partito Repubblicano) e offrendo ai Democratici, in crisi profonda, un assist preziosissimo sul piano dei numeri elettorali.

È l’eterna spada di Damocle dei cosiddetti “terzi partiti”. Nel sistema de facto bipartitico degli Stati Uniti, ne esistono, da sempre, più di quanto normalmente s’immagini, la stragrande maggioranza di essi è riconducibile indirettamente o invece talora persino schiettamente legata alla cultura conservatrice, ma, storicamente, al massimo queste forze sono riuscite a condizionare in certa misura i partiti maggiori o a conseguire qualche importante successo regionale: mai, cioè, a salire sul podio del proscenio nazionale a livello federale.

Ora, da sempre i sostenitori interni dei “terzi partiti” dicono, e pure con buona dose di buon senso, che così è perché così si continua a dire: ovvero, un cane che si morde la coda, che i “terzi partiti” non sfonderanno mai proprio perché si ripete che non sfonderanno mai; e questo giacché, dopo manifestazioni di bandiera anche rilevanti, gli elettori, al momento culminante, finiscono sempre e solo
per schiacciarsi sui partiti maggiori, o al limite per rifugiarsi nel non-voto di protesta. Epperò forse mai si è vista una forza popolare imponente e rilevante come il movimento del “Tea Party”: potrebbe, insomma, essere la volta buona che un “terzo partito” rubi decisamente la scena a uno dei “fratelli” maggiori.

Se così fosse, a rimetterci oggi sarebbe il Partito Repubblicano, vale a dire a quella forza politica capace anche di governo che, quando serve, si mostra conservatrice salvo però poi scordarsene, in diversi ambiti, assai rapidamente, e che dunque vive di rendita in mancanza di altre forze conservatrici organizzate credibili. Con grande scontento, però, di elettori, militanti, quadri e supporter assortiti. Se quindi il “Tea Party” dove decidere di raccogliere ora in prima e convinta persona il testimone disperso di questa staffetta mai portata davvero a termine, al Partito Repubblicano cadrebbe anche l’ultima foglia di fico.

È vero: è uno scenario futuribile, forse impensabile, addirittura magari irrealizzabile. Ma i Repubblicani, che da troppo tempo dormono comunque sugli allori, farebbero meglio a ridestarsi in fretta. Il gran successo ottenuto in Kentucky martedì da Rand Paul, figlio del “magico” Ron Paul, candidato indipendente appunto dei “Tea Party”, ha suonato per loro la sveglia. Si leveranno?

Marco Respinti è il Direttore del Centro Studi Russell Kirk