Il tentennante Biden
11 Giugno 2019
Lo Hyde Amendment è quella astuta previsione legislativa che dal 1977 – tre anni dopo la Roe vs Wade – impedisce, a determinate condizioni, l’utilizzo di fondi federali statunitensi per sovvenzionare le pratiche abortive. Joe Biden, Vicepresidente di Barack Obama ed oggi candidato di punta alle primarie democratiche del 2020, si era più volte espresso in passato per il suo mantenimento, creando, come era facile immaginare, un certo trambusto tra le fila più liberal dei democratici e meritandosi gli strali di Elizabeth Warren, sua avversaria alle elezioni primarie: gli ha rimproverato, in sentesi, che se lo stato federale non finanzia le pratiche abortive vuol dire che esse saranno limitate ingiustamente solo a chi ha disponibilità economica – un argomento a dir poco surreale.
Inizialmente qualche tentativo di difendere la posizione da parte della macchina elettorale di Joe Biden c’è stato in realtà. Non è un caso che mercoledì sera il rappresentate della Louisiana Cedric Richmond, un fedelissimo del cattolico Joe, abbia sottolineato come tale posizione fosse motivata dalla sua fede: «he is a deeply religious man» ha detto ai cronisti della CNN.
Convinzioni religiose così profonde e radicate che solo ventiquattro ore dopo lo stesso Biden ha pensato bene di cambiare idea, dichiarando durante un evento del Comitato Democratico Nazionale ad Atlanta che tale discussa previsione legislativa rappresenta una limitazione inaccettabile del diritto alla salute. Ecco qui la giravolta!
Nel dibattito delle opinioni cambiare idea è spesso un segno di intelligenza. In politica, ancor di più, la revisione di un proprio convincimento, fosse anche la più spudorata, nasconde sovente strategie di consenso ben studiate. Questo non significa che le marce indietro non possano essere rovinose o peggio delegittimanti. Ecco allora che se quella di Joe Biden altro non è stata che pura tattica, essa potrebbe certo rivelarsi rischiosa, se non perfino pericolosa.
Con una componente progressista del partito democratico all’apparenza preponderante o comunque assai risoluta, è comprensibile come sia vitale per Biden, il candidato moderato per eccellenza, cedere alle pressioni dei finanziatori liberal: il consenso interno oggi deve eroderlo a sinistra ed ha un senso orientare la propria immagine pubblica in quella direzione. A che prezzo però?
Se quanto accaduto con lo Hyde Amendement diventasse un precedente? Joe Biden ha tenuto il suo seggio in Senato per quasi quarant’anni ed ha espresso la propria opinione su una miriade di questioni con un numero altrettanto alto di votazioni. Non è certo da escludere che altre posizioni da lui assunte in passato e scomode a sinistra tornino all’ordine del giorno del dibattito politico. Sarebbe costretto a smentire ogni volta? Il tentennante Biden ha aperto una possibilità per i suoi avversari di impigliarlo nella rete meschina di un continuo flip-flop.
Come sempre in quel mondo tanto complesso quanto lineare della democrazia in America appare con chiarezza intuitiva quanto il dibattito pubblico si stia oggi direzionando verso un’estremizzazione delle opinioni. C’è una tendenza, Oltreoceano come anche qui nella vecchia Europa, a rendere il dibattito politico estraneo alle sfumature ed ai colori tenui, avviando spesso una semplificazione distorta delle posizioni che divengono irreali se non perfino surreali.
Senza più le vecchie categorie a distinguere il bene dal male, ad oggi solo le grandi adesioni fideistiche, etica ed economia – si è liberisti o keynesiani per fede e non per convinzioni scientifiche -, segnano la spaccatura del fronte. In mezzo non c’è più spazio. Questo meccanismo tanto spicciolo quanto diabolico finisce per risucchiare verso gli estremi ogni narrazione più misurata. I vecchi arnesi come Biden rischiano di perdere terreno sotto i piedi, costretti ad abbandonarsi ad una delegittimante oscillazione tra le loro posizioni centriste e gli argomenti sempre più totalizzanti delle loro aree politiche.
Quella marcia trionfante di Biden verso la nomination comincia forse a mostrare la sua debolezza, col rischio che davanti al tentennante sodale di Obama perfino Donald Trump appaia infine il più credibile interprete della moderazione al governo.