Il terremoto, le vecchie case di famiglia e i soldi non spesi (dalla Regione Lazio)
27 Agosto 2016
Eravamo in tanti, come tutti gli anni, in vacanza nei paesini dell’appennino marchigiano. Quello dove ero io non è stato danneggiato – frazione Meriggio di Acquacanina, nel parco dei Sibillini, non più di una trentina di km in linea d’aria da Arquata – e ce la siamo cavata con un grandissimo spavento, una notte passata con vecchi e bambini in macchina, dove tutte le scosse ce le siamo sentite per intero, e la fuga veloce verso casa, la mattina dopo. Non è stato per me il primo terremoto, ma sicuramente il più pauroso, il più brutto.
Ma guardando i tiggì e ascoltando le storie, stavolta il cuore si è stretto un po’ di più rispetto ad analoghe, tragiche cronache del passato. Come per me, per tutti quella era la classica vacanza della famiglia, in paesini e frazioni sconosciute ai più, dove vai solo perché c’è una casa di famiglia. Dei nonni, degli zii, cugini e cognati, colme di ricordi della tua infanzia. Non sono seconde case di lusso per vacanze di lusso, ma pezzi della storia personale, preziosi e importanti. Non è la retorica della nostalgia: piuttosto la consapevolezza di aver rivisto, nel dramma di Amatrice e delle sue tante piccolissime frazioni, l’anima profonda italiana, per cui le vacanze non sono tanto quelle delle riviste patinate, single e giovani allo sballo in discoteca, ma soprattutto il poter stare insieme, ritrovarsi tra amici e parenti nella casa di famiglia, dove sono le tue radici.
L’Italia è fatta di piccoli paesi della provincia, ancora cattolici nel sentire, pieni di famiglie unite, e con un tessuto umano estremamente solidale, come abbiamo potuto vedere in questi giorni. E infatti sono tutte storie di famiglia, e non di singoli, quelle che abbiamo ascoltato: paesi che da poche decine di anziani in inverno si popolano di centinaia di persone d’estate, perché le famiglie crescono, si allargano, si spostano, ma le radici sono lì, ed è lì che torni. E se siamo confortati dal fatto che almeno adesso il dolore sembra aver dato all’agenda del dibattito pubblico una onesta priorità – come sembrano inutili in queste ore le polemiche interne al Pd, tanto per fare un esempio – è anche vero che qualche fatto macroscopico salta all’occhio, specie nel paragone con vicende simili, come ad esempio il terremoto dell’Aquila. E non va trascurato: se veramente non vogliamo che certi lutti, per quanto è nelle nostre disponibilità, non accadano più, dobbiamo ad esempio capire le responsabilità politiche, se ce ne sono.
Responsabilità come quella che si può leggere su Repubblica, che oggi ci informa che “Subito dopo il terremoto dell’Aquila, i comuni di Amatrice e Accumoli furono classificati “categoria 1”, cioè massimo rischio sismico. L’allora governo Berlusconi stanziò quasi un miliardo da utilizzare entro il 2016 per le zone rosse: i soldi sono gestiti dalla Protezione civile, l’assegnazione ai comuni passa attraverso una graduatoria regionale. A cosa dovevano servire? Ad esempio a dare contributi ai privati cittadini per sistemare le loro case e renderle più sicure. Lo Stato garantisce da 100 a 200 euro al metro quadrato, per piccoli interventi di consolidamento. Non sono la soluzione finale, ma sicuramente possono limitare i danni durante le scosse più forti e salvare vite.”. E Bertolaso visitò appositamente la zona intorno Rieti per promuovere questa misura.
Ma di questi soldi cosa ne è stato? “La Regione Lazio ha inserito tra i requisiti per accedere ai fondi, la “residenza”, e non la semplice proprietà della casa come invece prevede l’ordinanza della Protezione civile. Risultato: su 1342 domande presentate per il 2013-2014 alla regione, ne sono state accolte soltanto 191”. E non solo: “parte di questi soldi non siano stati ancora liquidati, a causa problemi della Regione con la legge di stabilità. E siccome gli intoppi non finiscono mai, negli ultimi due anni l’erogazione si è bloccata del tutto”.
Come detto prima, quelle colpite sono seconde case, la popolazione risiede altrove, e non perché ricchi possidenti, ma per i motivi che abbiamo già detto. Sono case di famiglia, in paesini sperduti, immobili senza un reale valore di mercato, e perdipiù supertassate. Le tasse sulle case purtroppo prescindono da questo dato fondamentale: spesso le seconde case non sono investimenti di capitali ma eredità familiari con enorme valore affettivo più che economico, ed è proprio questo forte legame con le proprie origini, famiglia e casa compresa, che ha consentito ai borghi più belli d’Italia di sopravvivere allo spopolamento, e che ha fatto sì che vecchie case siano state amorevolmente curate e abbellite, conservate nel tempo e non dimenticate nell’incuria. Incoraggiare i proprietari a opere di conservazione e consolidamento vuol dire salvaguardare il territorio, impedire che questi paesini muoiano e si spopolino, evitare investimenti pubblici ingenti (che l’Italia non si può permettere) per la manutenzione dell’ambiente.
Nessuno in questi anni ha ricordato che dopo l’Aquila il governo Berlusconi aveva stanziato una somma così rilevante che, se impiegata secondo le finalità previste, avrebbe protetto Amatrice e gli altri paesi. Il terremoto dell’Aquila è stato piuttosto usato in modo vergognoso per attaccare quel governo. La differenza con il trattamento che riserva adesso la grande stampa al governo è macroscopica: ieri il Corriere – la voce del padrone – apriva addirittura con un titolo a tutta pagina “In 215 salvati dalle macerie”, mentre i morti finivano nel sottotitolo. Non ricordo nei titoli per l’Aquila (e per nessun altro caso di terremoto) una analoga conta dei salvati dalle macerie nelle 24 ore successive. Casomai si dava notizia dei singoli che hanno resistito a lungo, sepolti sotto i detriti. E il Giornale, ieri titolava “Forza italiani Forza Renzi”. Perché “forza Renzi”? Che c’entra? Perché non “forza politici”? Ve l’immaginate un giornale di opposizione che per il terremoto dell’Aquila avesse titolato “Forza Berlusconi”?
Noi siamo lieti che il clima sia cambiato, che nei confronti dell’attuale premier non ci siano le strumentalizzazioni e gli attacchi a prescindere che ci sono stati in altri momenti. Renzi chiede unità, e siamo tutti disposti a offrirla, ma è l’unità di chi si stringe intorno alle vittime, ai terremotati, agli italiani, non intorno al Pd. E’ una distinzione importante, perché prevede che si resti con gli occhi aperti, pronti ad applaudire se c’è da applaudire e a criticare se c’è da criticare.