Il terrorismo cambia volto. E l’Italia diviene il crocevia della Jihad
03 Agosto 2007
Sessanta allarmi di possibili attentati negli ultimi sei mesi. Benvenuti in Italia, crocevia della jihad del terrorismo islamico in Europa. Porto di smistamento di armi, esplosivi e uomini delle nuove strutture della Al Qaeda nel Maghreb. Terreno sperimentale per le nuove modalità di reclutamento dei terroristi. Che non sono più un’organizzazione ma un sistema, come diceva il capo della polizia Manganelli alcuni giorni fa alla commissione affari costituzionali della Camera. La nuova parola d’ordine di Ayman al Zawahiri è infatti “nizam, la tanzim”, sistema, di terrore globale, non più organizzazione. Ognuno si attiva da sé come e quando vuole, gli ordini si ricevono via internet e poi massima autonomia negli obiettivi e nelle maniere per colpirli. Altro che terrorismo fai da te, qui ci troviamo di fronte a cellule organizzatissime che colpiscono e hanno già colpito in Marocco, Tunisia e Algeria.
La trasformazione del gruppo combattente salafita di predicazione in Al Qaeda nel Maghreb ha sconvolto tutte le cose e adesso l’Italia è al centro della loro ragnatela per colpire obiettivi in tutta Europa ma anche qui da noi. Per fare solo un esempio almeno dieci dei trenta terroristi rimasti uccisi in Tunisia lo scorso gennaio in uno scontro a fuoco con l’esercito di Ben Alì, dopo che una soffiata ne aveva segnalato l’infiltrazione dalla confinante Algeria, erano di base qui da noi in città come Perugia, Milano, Napoli e Bologna.
Oramai con il terrorismo islamico non si scherza più e se non bastavano i precedenti avvisi adesso c’è la cinquantonovesima relazione del Cesis sulla sicurezza al Parlamento a parlare chiaro.
Ecco ad esempio questo passo: “Il complesso delle segnalazioni di minaccia direttamente riferite all’Italia (nr. 60, comprensive anche dei rischi endogeni) è stato oggetto di trattazione congiunta tra Forze di polizia ed intelligence in seno al Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, cui partecipa il CESIS, completando così la rappresentanza del settore informativo. Tale consesso interforze tecnico – riunitosi 27 volte, anche in via straordinaria – ha
esaminato e valutato ulteriori profili di rischio e d’interesse tra cui: gli sviluppi informativi relativi ai pregressi trascorsi italiani di alcuni soggetti coinvolti nei disordini che hanno interessato la Tunisia ed il possibile trasferimento nel nostro Paese di estremisti in fuga dal Marocco. Ipotesi, questa, in relazione alla quale resta elevata la vigilanza anche in direzione dei flussi migratori clandestini.
Specifico approfondimento è stato dedicato, da ultimo, agli sventati attentati in Gran Bretagna, per il rischio di eventuali, analoghe azioni nel nostro Paese.
All’attenzione è stato inoltre il possibile ridislocamento in Europa di ex mujahidin che in Algeria si sono giovati dell’amnistia, nonché di veterani del conflitto bosniaco cui quelle Autorità hanno revocato la cittadinanza, tra i quali figurano anche maghrebini con precedenti contatti nel nostro Paese.”
Gli allarmi rossi in Italia
Leggiamo anche quando ci sono stati alcuni dei più pericolosi fra i sessanta allarmi di cui parla la relazione.
Il 10 gennaio 2007 arriva una segnalazione su un possibile attentato di una cellula pakistana in sonno in Italia. Il gruppo si chiama “Lashkar e Tayba, il luogo è imprecisato. Scatta subito l’allarme rosso. C’è da dire che spesso il diffondere voci su attentati imminenti fa parte della stessa strategia che Al Qaeda raccomanda alle proprie cellule in franchsing.
Il 20 febbraio e il 2 marzo di nuovo allarme rosso: la segnalazione parla di attentati a strutture britanniche e americane sul suolo italiano e indica il gruppo marocchino “Il giusto islam”.
Il 13 aprile l’allarme scatta a Roma, al-qaeda potrebbe colpire ovunque ma si teme per il Vaticano. Il 25 aprile nuovo allarme per le strutture Usa in Italia, stavolta è segnalato il gruppo iracheno al tayat al Sadri. Cinque giorni dopo, il 30 aprile, allarme a Modena, stavolta c’è di mezzo la cellula turca di Kongra Gel. Il 16 maggio si teme per il Duomo di Milano e per la metropolitana cittadina, la cellula segnalata è maghrebina.
L’8 giugno nuovo allarme a Roma, palazzo di giustizia, cellula mista pachistana e maghrebina. Il 27 giugno, poco più di un mese fa l’ultimo allarme a Roma, sempre segnalati i pakistani ma la struttura non viene indicata: si teme possa essere la metropolitana.
Come si può agevolmente vedere la media di segnalazioni da allarme rosso è di più di una al mese. Poi ci sono quelle minori e quelle riguardano obiettivi italiani all’estero. Sessanta in un semestre fanno dieci al mese e indica che l’Italia è diventata “dar al arb”, terra di guerra e di jihad.
Allarme brigatista
Ma non basta. Si teme una contaminazione tra la manovalanza della jihad e quella delle Br. A pagina 26 della relazione si mette in guardia anche dai cattivi maestri rientrati in Italia dopo l’esilio in Francia. Non si capisce chi arruola chi, ma si dice che “è emerso un substrato di condivisione dell’ideologia rivoluzionaria e di simpatia verso il brigatismo, contestualmente a un rinnovato protagonismo di singoli esponenti della vecchia guardia rivoluzionaria, mostratisi particolarmente impegnati in ambigue operazioni commemorative e di testimonianza”. Poi viene fatto l’esempio della marcia del 3 giugno a L’Aquila in solidarietà di Nadia Desdemona Lioce rinchiusa in quel carcere.
Si parla anche del terrorismo anti clericale che ha registrato ben 34 episodi e di quello ecologista in cui le parole d’ordine sono le stesse dei no-tav e dei no-base di Vicenza. Senza dimenticare i sabotaggi ai rigassificatori in Campania.
Al-Qaeda in America
Nel messaggio audio video del 7 maggio Al Zawahiri inneggia alla nazione musulmana in America e ricorda l’impegno di Malcolm X invitando tutti i musulmani estremisti d’America, quelli che si riconoscono nelle posizioni di Louis Farrakhan, a convertirsi alla jihad.
Commenta l’estensore della relazione che “la propaganda pone sempre più in luce l’interesse di al Qaeda a dar luogo a plurime derivazioni ideologico-operative, anche all’interno delle società occidentali. Si tratta di un progetto, già dettagliatamente teorizzato, che trova oggi ulteriore definizione nell’apertura a “tutti gli oppressi nel mondo, senza confini razziali, di lingua e geografici“ operata da Zawahiri, che si è rivolto esplicitamente ai neri d’America ed agli ispano-americani.
La stessa logica che potrebbe portare in Italia alla temuta alleanza tra il terrorismo rosso e quello islamico. E’ una strategia del “sistema”, non una tattica dell’ “organizzazione”. E non è un caso quindi che su questa dicotomia tra “sistema” e “organizzazione” abbia tanto insistito Manganelli qualche giorno fa quando ha lanciato il proprio allarme terrorismo islamico: semplicemente conosceva in anticipo i contenuti di questa relazione. E magari sapeva anche qualche altro dettaglio non divulgabile.
L’aspetto economico
“Con riferimento all’origine delle provviste si rileva una crescente attitudine dei gruppi islamisti ad inserirsi, specie nelle aree caratterizzate da perdurante instabilità e corruzione, nelle dinamiche criminali nonché ad acquisire una maggiore autonomia gestionale che ne attenua la dipendenza dalle forme di supporto esterno. La Penisola Arabica si conferma al centro delle dinamiche di finanziamento e di sostegno alle cellule nei teatri di guerra, mentre sul versante europeo le reti nordafricane assicurano supporto logistico-finanziario, anche attraverso la fornitura di documenti falsificati, ai mujahidin in transito nei Paesi dell’Unione. Nel tempo, si è assistito, soprattutto nei Paesi occidentali, ad una progressiva frammentazione delle organizzazioni jihadiste, che ha portato alla formazione sul territorio di cellule, dotate di elevata autonomia logistica ed operativa (c.d. tendenza alla “monadizzazione”). Unità, queste, assimilabili a vere e proprie microfiliali (più delle ramificazioni autonome che delle filiali), capaci di assumere in proprio i complessivi oneri di “gestione corrente”.
Un fenomeno, questo, che risulta particolarmente rilevante alla luce della parallela riduzione dei costi del terrorismo: emblematico che dai circa 500mila dollari impiegati per gli attacchi alle Torri Gemelle di New York del 2001, si è passati a somme notevolmente inferiori per gli attacchi di Madrid del 2004 (comprese, secondo dati forniti da Europol, tra 8mila e 15mila euro) e per quelli di Londra del 2005, i cui costi sono stati stimati in un ordine di grandezza sensibilmente inferiore.”
Immigrazione clandestina e infiltrazioni terroristiche
“Approfondimenti informativi e d’analisi – in relazione anche all’ipotesi, tuttora priva di specifici riscontri, sulla possibile infiltrazione di estremisti islamici maghrebini – sono stati riservati a questa direttrice, ancora poco consistente, ma in aumento, il cui sviluppo indica un’evoluzione organizzativa dei trafficanti algerini. Secondo pratiche già sperimentate su altre rotte, i gruppi criminali utilizzano piccole imbarcazioni in vetroresina, capaci di coprire l’intero percorso quando siano favorevoli le condizioni meteorologiche o, in alternativa, le cd. navi madri, a bordo delle quali i clandestini vengono trasportati in prossimità delle coste sarde per poi essere sbarcati a bordo di gommoni.”
I trafficanti algerini rivestono un ruolo di rilievo anche con riferimento alla direttrice libica, verso la quale convogliano i migranti della fascia subsahariana. Più in generale, nella gestione della direttrice nordafricana le componenti criminali maghrebine risultano le più competitive, poiché in grado di esercitare un aderente controllo sulle aree di imbarco e di garantire una filiera ben impiantata anche nei Paesi di destinazione.
Accanto agli algerini, figurano nelle acquisizioni del SISDE: i tunisini, che hanno occupato posizioni di vertice, controllando l’area di confine con la Libia e sfruttando la manodopera dei clandestini in attesa di migrare; i libici che, a livello locale, dispongono di solide coperture e di un apparato logistico efficace – legato anche a cantieri navali dei Paesi limitrofi – risultando spesso referenti di altre formazioni sia in Maghreb che in Italia; i marocchini, che promuovono numerosi sodalizi criminali con ramificate basi logistiche nei diversi Paesi di destinazione. “ Essi sono molto competitivi nella gestione delle rimesse e nella falsificazione dei documenti amministrativi a favore dei connazionali”, precisa la relazione del Cesis.