Il terzo polo si sfila dai ballottaggi. Fini militarizza il partito e perde Ronchi
18 Maggio 2011
Il terzo polo archivia la pratica ballottaggi. Nessun apparentamento, né col centrodestra né col centrosinistra. L’unica indicazione vera è quella delle ‘mani libere’. Della serie: i nostri votino come vogliono. Il che accade sempre nelle competizioni elettorali e a maggior ragione nei ballottaggi quando la scelta definitiva è solo tra due candidati sindaco e due programmi. Sul piano politico, invece, segnala tutto l’imbarazzo di una forza politica che non può permettersi di decidere da che parte stare, pena la perdita di consensi.
Per Casini si tratta più di una mossa tattica che serve a ribadire che l’ago della bilancia tra i due schieramenti è lui (ora e alle politiche); per Fini un percorso minato perché in Fli il solco tra falchi e colombe è sempre più profondo. Come accaduto ieri. Il presidente della Camera ‘militarizza’ il partito e vieta a chiunque di manifestare le proprie intenzioni di voto, Urso e Ronchi compresi. I leader della componente moderata avevano già dichiarato il loro endorsement per la Moratti rivendicando, anzitutto, la necessità di tenere ancorato il progetto di Fli al centrodestra da rifondare. Il risultato è che dopo il monito del capo, Andrea Ronchi lascia la presidenza dell’assemblea nazionale del partito chiamata (venerdì) a ratificare la scelta di non scegliere, uscita dal summit terzopolista. Scelta e ratifica “vincolanti per tutti”, ammonisce Fini che chiosa più o meno così: si decide a maggioranza e chi non è d’accordo deve adeguarsi. Condizione inaccettabile per l’ex ministro delle politiche comunitarie. Ora, se il passo successivo sarà quello dell’addio a Fini non è chiaro e forse è presto per dirlo, resta il fatto che la rottura definitiva sembra ormai molto più di una suggestione.
Sul versante della maggioranza, il Pdl tiene aperta la porta del dialogo coi centristi per ricostituire un fronte comune dei moderati e riportare alle urne quella parte di elettorato appartenente allo stesso bacino di riferimento (idee, valori, cultura) che le ha disertate, a Milano come a Napoli. E Bossi? Rompe il silenzio per dire che sì, la campagna elettorale a Milano è stata sbagliata ma tra quindici giorni “vinceremo”. Poi aggiunge, sibillino, che la Lega non si farà trascinare a fondo dal Pdl. Messaggio in codice per il Cav.? La sensazione è che il Senatur abbia voluto più “curare” il maldipancia della base padana che minacciare di rompere l’alleanza col premier. E questo per un motivo molto semplice che peraltro i colonnelli del Carroccio ripetono da giorni motivando le ragioni dell’asse col Pdl: portare a casa le riforme in questa legislatura e con questo governo. Tanto che Bossi sgombera il campo dai sospetti che l’esito dei ballottaggi possa avere conseguenze su Palazzo Chigi e ai giornalisti risponde secco: “Non fatevi illusioni”.
Strategia terzopolista. Casini, Fini, Rutelli, conferenza stampa coi candidati sindaco che hanno corso al primo turno a Milano e Napoli. Il messaggio di fondo è che il 5,6 di Manfredi Palmeri e il 9 di Raimondo Pasquino sono determinanti sia per Moratti e Pisapia, sia per Lettieri e De Magistris. Ma non ci sarà alcun apparentamento, semmai sono gli sfidanti a dover condividere il progetto ‘alternativo’ del nuovo polo pensato per le due città. Al netto delle dichiarazioni di rito, viene da domandarsi quale convergenza di vedute possa esserci, ad esempio, tra l’elettorato di centro e Pisapia che propone il modello delle ‘famiglie plurali’ basato sul concetto della “parità dei diritti e dei doveri per tutte le comunità affettive e di vita che vogliano essere riconosciute dall’amministrazione comunale (casa, assistenza, scuola, cultura, sport)” e tradotto nell’istituzione del registro delle unioni civili. Non si capisce nemmeno cosa possano avere in comune gli elettori centristi e quelli del candidato vendoliano che vuole riconoscere il diritto di voto agli immigrati residenti in città da tre anni e che fin d’ora annuncia “l’impegno politico” del Comune di Milano “di insistere verso il Parlamento perché venga cambiata la legge sulla cittadinanza ma intanto sia più rapidamente approvata la legge che riconosce il diritto di voto amministrativo” (programma elettorale, pagina 23). O ancora sull’intenzione di realizzare un grande centro islamico con annessa moschea. Proposta legittima, per carità, e tuttavia nel programma di Pisapia non c’è traccia del dove e del come. Questo lo schema per la sfida al secondo turno.
Ma un secondo dopo la conferenza stampa dei leader terzopolisti, in Fli scoppia il caos. E c’è da credere che Casini non se sia rimasto entusiasta. Il presidente della Camera lancia l’anatema: guai a chi vuole dividerci, ora sui ballottaggi poi sull’attività parlamentare. Sacrosanto che Fini rivendichi e difenda l’unità del terzo polo, in realtà dovrebbe spiegare perché ieri in commissione giustizia i suoi deputati hanno votato con il Pd e l’Idv la legge sull’omofobia firmata dalla democrat Paola Concia e bocciata dal centrodestra anche coi voti dei parlamentari centristi. E dovrebbe spiegare come voterà Fli sul testamento biologico, visto che i parlamentari Udc hanno una posizione ben lontana da quella del fronte laicista che accomuna buona parte del futuristi ‘pasdaran’ e la sinistra.
Se nel monito di Fini appare chiaro il riferimento al Pdl, lo è altrettanto per le colombe futuriste, critiche sulla libertà di coscienza in una sfida tra due opzioni contrapposte al centrodestra che per Milano è quella della sinistra radicale e per Napoli quella populista e giustizialista di De Magistris (Idv). Il carico da novanta Fini ce lo mette quando annuncia che venerdì l’assemblea nazionale del partito ratificherà la linea del terzo polo e sarà “vincolante per tutti”. E che a valere sarà la decisione della maggioranza. Che tradotto vuol dire: nessun esponente di Fli può permettersi di dare indicazioni di voto su Milano e Napoli. Un modo per “militarizzare” il partito e zittire chi nell’area moderata è convinto che la credibilità del partito e la forza del suo progetto si misurano anche sulla chiarezza della collocazione che non può non essere nel centrodestra. Per valori, identità, idee.
Quanto basta per portare Ronchi alla lettera di dimissioni da presidente dell’assemblea nazionale. Per coerenza con le idee che sulla sfida elettorale – ricorda – “sono chiare e già espresse da tempo, quindi non ci sono ragioni perché possa cambiarle”. Nemmeno dopo il diktat del capo. A ben guardare, la mossa di Fini segnala una contraddizione di fondo. Un anno fa, più o meno di questi tempi, rinunciò ad un impegno diretto nella campagna elettorale del Pdl alle regionali e in particolare nel Lazio a sostegno della Polverini (che lui stesso candidò alla corsa per la Pisana) anteponendo il ruolo istituzionale di terza carica dello Stato a quello di cofondatore del partito. Un anno dopo, Fini è ancora presidente della Camera ma fa campagna elettorale manifestando una posizione politica in vista dei ballottaggi. E ancora: un anno fa denunciò con forza la mancanza di democrazia dentro il Pdl; oggi invece, decide prima e da solo cosa i suoi devono decidere dopo.
Aspetto che non sfugge al vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello quando osserva che “contrariamente a quanto ci era sembrato un anno fa in occasione delle regionali, anche il presidente della Camera può partecipare alla campagna elettorale: a condizione che non sia dalla stessa parte di Berlusconi. La seconda notizia è che, contrariamente a quanto ci era sembrato un anno fa, anche per Fini le decisioni prese a maggioranza dagli organi di partito sono vincolanti per tutti: a condizione che in maggioranza ci sia lui”.
Che il solco tra falchi e colombe sia sempre più profondo lo si capisce anche dalla ‘guerra’ a suon di editoriali che da giorni impazza sui web delle due componenti: Il Futurista e FareItaliaMag. La posizione di Urso e Ronchi è stata messa sotto processo dal giornale on line di comprovata fede finiana che se martedì stroncava l’intervista al Corsera dell’ex ministro delle politiche comunitarie nella quale si diceva certo del sostegno a Moratti e Lettieri, ieri si domandava perché mai le colombe finiane abbiano deciso di seguire Fini (un modo neanche troppo elegante di suggerire il ben servito). La replica a stretto giro: “E’ arrivato finalmente il momento in cui Fli deve decidere cosa fare da grande” esordisce il fondo sul web delle colombe finiane, che si domanda se la via sia ancora “arrovellarsi con l’antiberlusconismo, ormai al capolinea, oppure tornate a credere nel proprio progetto e cercare di ricostruire un nuovo centrodestra, diverso da quello che fu il Pdl”.
Non solo: il clamorosol flop dell’esperimento fascio-comunista a Latina viene evocato per sottolineare che “altre vie non esistono e gli elettori lo hanno scritto in modo indelebile sulla scheda elettorale”. Semmai il flop dei “Pennacchi Rossi e dei Granat(ieri)” – scrive FareItaliaMag – avvalora ancora di più la tesi che Fli è un partito di centrodestra, che i suoi elettori sono di centrodestra e la sua cultura è di centrodestra”. E tanto per ribadire il concetto si citano i casi di Campobasso, Grosseto e Capua dove, risultati elettorali alla mano, “si può notare che quando Fli si allea con le realtà di centrodestra” vince e aumenta i propri consensi (a Grosseto Fli ha sfiorato il 10 per cento e nella città campana ha preso il 7), quando invece “va con il terzo polo, come lista si attesta con una media del 2,8-3 per cento, mentre se va a sinistra non raggiunge l’1 per cento”. Conclusione: “Appoggiare il centrosinistra ai ballottaggi – anzi in alcuni casi la sinistra più estrema – non è nel dna degli elettori di Fli”.
Ma Fini ha già deciso. Anche per Ronchi e Urso o a prescindere da entrambi.