Il terzomondismo occidentale ha finito per mettere a rischio i cristiani d’Africa

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Il terzomondismo occidentale ha finito per mettere a rischio i cristiani d’Africa

12 Maggio 2012

Le recenti stragi di fedeli in Nigeria e Kenya – di domenica, mentre pregavano raccolti in luoghi di culto – hanno portato ancora una volta all’attenzione del mondo le condizioni difficili in cui molti cristiani sono costretti a vivere in Africa, nel mirino del terrorismo islamico anche dove, come in Kenya e in tanti altri stati subsahariani, i musulmani costituiscono una minoranza e dove, non molti anni or sono, erano piuttosto loro a temere discriminazioni e peggio.

Ma allora a minacciarli non erano i cristiani e non era neanche la fede religiosa a costituire il problema. Erano invisi e presi di mira perché costituivano una minoranza relativamente ricca di professionisti, commercianti e imprenditori immigrati dall’Asia e ai governi africani fa sempre comodo riversare sulle comunità minoritarie, autoctone e meglio ancora se di origine straniera, la colpa del mancato sviluppo, della povertà, della corruzione. Nel 1972 il dittatore Idi Amin Dada, in Uganda, ordinò l’espulsione di quasi tutti gli 80.000 residenti asiatici, in gran parte di religione islamica, che dovettero lasciare il paese perdendo ogni loro bene. 

Proprio malgoverno, corruzione, povertà, incuria delle istituzioni nei confronti dei cittadini sono d’altra parte le realtà che i movimenti islamisti denunciano, conquistando la fiducia dei connazionali ai quali propongono come rimedio governi islamici, guidati dalla shari’a, la legge coranica. Se, come ad esempio in Algeria, i leader al potere sono musulmani, spiegano che il malgoverno è conseguenza dell’essersi discostati – capi e popolazione – dall’ortodossia, corrotti dall’Occidente: e in Algeria è stata strage di innocenti, uccisi a decine di migliaia.

Se invece è una leadership cristiana a governare, la si incolpa di ogni misfatto. In Nigeria, islamica al nord e cristiana nella metà meridionale dove si trovano i giacimenti di petrolio che costituiscono la ricchezza del paese ma non della popolazione, per due terzi sotto la soglia della povertà, gli imam e i politici del nord accusano della miseria, particolarmente patita negli stati islamici della federazione, il governo centrale guidato da alcuni anni da presidenti cristiani .

L’appartenenza religiosa peraltro è da sempre un potenziale fattore di tensione in Africa dove si coniuga con il tribalismo. Spesso minimizzato, ignorato e persino del tutto negato, oppure spiegato come un fenomeno estraneo alla tradizione africana, nato con la colonizzazione europea, il tribalismo è un tratto distintivo della vita africana, oggi come in passato: un sistema di comunità alle quali si appartiene per nascita, invalicabili e insostituibili, antagoniste e ostili.

Né l’Islam, con la sua proposta unificante di una “umma”, la comunità dei fedeli, né il Cristianesimo, con il suo messaggio di fratellanza universale, sono riusciti a sradicarlo del tutto. Anzi, ne sono divenuti una modalità là dove, come appunto in Nigeria, tribù convertite nei secoli alle due religioni si affrontano, contendendosi come accade da millenni risorse e mezzi di sopravvivenza.

Si capisce che un tale contesto asseconda la diffusione di un progetto integralista anche se l’insicurezza e il degrado causati dagli attentati terroristici e dalla lotta armata non convengono a nessuno e non trovano tra i fedeli consenso unanime. A favore dell’Islam anche nella sua versione più intransigente, ai nostri occhi intollerabile per le libertà negate e la violenza con cui si impone, gioca inoltre l’affinità di questa religione scaturita da società di pastori nomadi con i valori e le istituzioni delle società tribali africane, autoritarie, patriarcali e gerontocratiche che antepongono la comunità alla persona, fanno dipendere i diritti dallo status e sono organizzate su fondamentali differenze di condizione tra maschi e femmine, giovani e anziani, simili per lignaggio ed etnia ed estranei.

Al contrario, il Cristianesimo afferma il valore e la centralità della persona, ne proclama sacre dignità, integrità fisica e libertà, sostenendo l’esistenza di diritti inerenti alla condizione umana, quindi universali e inalienabili. Ne consegue la richiesta di modificare radicalmente i rapporti e la struttura sociale tradizionali, abbandonando istituzioni che ancora per una parte rilevante della popolazione africana costituiscono cardini irrinunciabili della vita sociale.

La propaganda terzomondista, infine, che accusa l’Occidente di tutti i mali sofferti dagli africani negli ultimi sei secoli, rende credibile che sia bene respingere la cultura occidentale in ogni sua espressione anche marginale: persino l’uso dell’orologio da polso, che difatti Boko Haram, il movimento integralista nigeriano, non ammette, mentre l’algerino Al Qaeda nel Maghreb islamico impone che venga indossato al polso destro, per non imitare gli occidentali.