Il trabocchetto del laureato
29 Gennaio 2012
In questi giorni viviamo un’ennesima commedia all’italiana; due questioni hanno toccato, da punti diversi, il problema serio che riguarda i giovani e il mondo del lavoro: il valore legale del titolo di studio. Abbiamo ascoltato l’uscita, spocchiosa e poco accorta, del giovane vice Ministro del Lavoro su quanto sia sfigato chi si laurea dopo i 28 anni. Il linguaggio giovanilistico non assolve chi ha perso un’occasione per stare zitto e riflettere: affermazioni simili sembrano mostrare scarsa conoscenza dei problemi dell’Università, questo nonostante si tratti di un professore universitario.
Per non essere da meno,ecco intervenire il sindacato, accompagnato da vari movimenti studenteschi, pronti a scioperare a oltranza se dovesse passare nel decreto semplificazioni la riforma dei diplomi e, per le Università, l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Quali le ragioni di questa opposizione? La risposta l’ha data il segretario generale della Cgil scuola affermando che una scelta simile sarebbe un ulteriore colpo alla mobilità sociale (qualcuno ci illumini sul significato) e che si creerebbero università di serie A, frequentate dai ricchi, e di serie B per gli altri. Proviamoachiarirci,eparlodaprofessoreuniversitarioapochiannidallapensione. Università di livello qualitativo differente ci sono in tutto il mondo,così come in Italia; la loro valutazione non dipende dalle condizioni economiche degli studenti che le frequentano ma dalla qualità e dalla capacità dei docenti e dei ricercatori che ne compongono il corpo insegnante.
La globalizzazione esiste anche nel settore della formazione per cui le valutazioni sono determinate da precisi parametri definiti e riconosciuti a livello internazionale. Finalmente e con molto ritardo rispetto agli altri paesi (avanzati e in via di sviluppo), anche in Italia si sta mettendo in piedi l’Anvur, l’Agenzia nazionale che dovrà valutare la qualità degli atenei finanziando proporzionalmente quelli più efficaci e qualificati. Anche non volendolo, la selezione sta partendo e verrà certificata ufficialmente; presto ne vedremo delle belle perché è possibile aspettarsi anche l’emergere di realtà da serie C. Sarà istruttivo vedere le reazioni alle valutazioni e i sottili distinguo assolutori di quanti saranno valutati non bene. Il vero problema da risolvere, del quale per ora non si parla, non è l’abolizione del valore legale del titolo di studio: questo, formalmente o informalmente, esiste già in ogni paese serio perché la gente è selezionata soprattutto in base alla competenza e non al pezzo di carta che ha.
Il vero nodo politico che va sciolto è"il come"si arriverà all’abolizione. È interesse del paese che tutti i suoi elementi migliori, non a priori i figli dei ricchi, possano accedere ai livelli più elevati di studio per diventare la nuova classe dirigente. Come avviene in tutti i paesi civili questo si può fare soltanto assicurando economicamente l’accesso agli studi a quanti altrimenti non potrebbero permetterselo. Guardiamo oltre le nostre frontiere: borse di studio, prestiti d’onore o qualunque altro strumento capace di sostenere e, al contempo, di impegnare eticamente chi ne usufruisce sono la ricetta migliore e più semplice per ottenere risultati positivi.
Il governo dovrebbe presentare un pacchetto articolato che preveda queste opzioni altrimenti l’abolizione del valore legale del titolo si trasformerà in una facile arma per quanti demagogicamente sfrutteranno "l’assalto alla povera gente" per bloccare, ancora una volta, ogni tentativo di fare uscire il Paese dal pantano in cui galleggia da troppo tempo. E a nulla servirebbe riempirsi la bocca della "necessità di competere" se non si mettono in atto le misure necessarie a renderlo possibile. Come padre non voglio più vedere che nella Pubblica Amministrazione un cretino con una laurea, presa non importa come e non importa con quale valutazione, possa ottenere un posto che dovrebbe essere assegnato a persone migliori, più preparate, ma prive, per qualunque motivo (la vita non è mai semplice), del famigerato pezzo di carta. Proviamo finalmente a diventare un paese diverso e serio, nell’interesse dei nostri figli e di quelli che verranno.
(tratto da Il Tempo)