Il tradimento della bozza Bianco mette fine al dialogo

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Il tradimento della bozza Bianco mette fine al dialogo

17 Gennaio 2008

Dopo il
semaforo verde della Consulta, il sentiero del dialogo parlamentare per
approdare ad una riforma che disinneschi la miccia del referendum si fa sempre
più impervio.

Il percorso
che sembrava ad un passo dal traguardo sembra essersi di colpo arrestato. E la
colpa – questo è il paradosso – è proprio di quei partiti che auspicano
l’introduzione di un sistema decisamente proporzionale, e che nella
consultazione popolare che ieri ha avuto il placet della Corte vedono il
peggiore dei mali possibili.

Nella ridda
di voci e smentite sull’identità della “manina” che a dispetto delle
assicurazioni del Pd ha stravolto la bozza Bianco e ne ha cambiato i connotati,
infatti, i primi sospetti s’erano concentrati su Massimo D’Alema, ma sono in
molti a ritenere che le formazioni politiche di medie dimensioni – Rifondazione
comunista e Udc in primis – non debbano essere considerate estranee al
“blitz” in Commissione Affari Costituzionali. Una mossa che potrebbe
rivelarsi un autogol: forzare la mano discontandosi di molto dalla “bozza
Bianco” originaria e soprattutto dal %22Vassallum” che il Pd aveva
messo in campo nella trattativa con Forza Italia, infatti, potrebbe voler dire
perdere il sostegno del partito del Cav., che ha sempre rifiutato l’ipotesi di
un compromesso al ribasso, e che, a differenza di Udc e Prc, non vivrebbe il
referendum come una tragedia.

Che sul testo
base presentato in Commissione l’accordo potesse rischiare di saltare il Pd lo
sapeva bene. E lo stesso Enzo Bianco era stato personalmente avvisato, tra
lunedì sera e martedì mattina, che mai e poi mai Forza Italia avrebbe tramutato
la sua disponibilità al dialogo nella supina accettazione di un marchingegno
elettorale che si discostasse vistosamente dallo spirito referendario e che
sottraesse ai cittadini il potere di scelta del governo. Invece, assieme alla
nuova formulazione è arrivata la sorpresa: un sistema per l’elezione dei
senatori che riporterebbe le lancette della politica nel mezzo della Prima
Repubblica, e – attraverso il meccanismo di ripartizione dei quozienti –
sposterebbe la competizione all’interno degli stessi partiti, dando la stura
alle peggiori pratiche e a un nuovo tipo di voto scambio.

La nuova
bozza Bianco, infatti, non garantisce che il candidato che dovesse raccogliere
il maggior numero di consensi all’interno del suo collegio venga eletto, poiché
nella ripartizione dei seggi dovrebbe vedersela con i compagni di partito degli
altri collegi. Con un simile sistema elettorale, i candidati sarebbero
automaticamente incentivati a stringere accordi con i partiti avversari degli
altri collegi, al fine di sottrarre consensi ai competitori interni al proprio
partito.

Forza Italia,
fino ad ora partner leale nella trattativa con il Pd, non ha esitato a
sostenere che il perseverare su una proposta di questo genere porterebbe
automaticamente al rovesciamento del tavolo. Spiega il senatore Gaetano
Quagliariello che il nuovo testo base tradisce i presupposti del dialogo
“nel merito e nel metodo”. Nel merito, perché “ha smentito le
premesse trasformando il bipolarismo in una mera aspirazione psicologica
affidata al voto unico”. Nel metodo, perché “sono state avanzate sul
collegio unico nazionale e soprattutto sull’elezione del Senato delle proposte
che mai ci erano state presentate e che mai erano state discusse, né in sede
istituzionale, né in sede politica”.

Gli unici
soddistatti sembrano essere i proporzionalisti, i quali, però, hanno dato prova
di scarsa lungimiranza perché non hanno compreso che Forza Italia non avrebbe
mai accettato simili condizioni, e portare gli azzurri a sfilarsi dalla partita
vorrebbe dire andare dritti al referendum.

Quel che è
certo è che del “Vassallum”, dopo la doppia mano di
“bianchettum”, resta ben poco. Un esito paradossale, se si pensa che
lo stesso Walter Veltroni, pur stretto fra le pressioni di D’Alema, di Prodi e
degli alleati, aveva difeso la “creatura” del suo costituzionalista
di riferimento con le unghie e con i denti, indicandola come la frontiera al di
là della quale il modello bipartitico sarebbe sconfinato in un impianto di tipo
tedesco nettamente proporzionale, dunque inadeguato a ridurre la frammentazione
attuale.

Il tempo
stringe. Da qui al 22 gennaio – giorno in cui la nuova bozza Bianco verrà messa
in votazione in Commissione – ci sono margini ristrettissimi perché il Pd torni
sui suoi passi e rirpistini le condizioni di un dialogo corretto e trasparente.
In caso contrario, Forza Italia sarà costretta ad abbandonare il tavolo di
gioco, e il referendum sarà inevitabile.

Lo stesso
Berlusconi, conversando con i cronisti, ha confermato che “a questo punto
è meglio il referendum”, perché – ha spiegato il Cavaliere, “neanche
il Partito democratico può volere questo testo che è stata ribaltato
e ora è completamente diverso rispetto all’ipotesi iniziale”.
“Credo che quello del referendum – ha concluso il leader di Forza Italia –
sia lo sbocco necessario”, poiché la nuova bozza Bianco “mette in
mano il pallino a un partito del 6% ed è il contrario di quello che avevamo
deciso all’inizio. Io credo che anche Veltroni non possa accettarla”.

Il punto è
che il referendum è un’evenienza che per gli azzurri non sarebbe affatto un
dramma, mentre per la maggioranza di governo sarebbe un autentico tsunami.
L’Unione ci ha riflettuto abbastanza?