Il tradimento dell’America

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Il tradimento dell’America

07 Settembre 2015

Apre il cuore vedere i profughi siriani che arrivano nella stazione di Monaco sulle note dell’Inno alla gioia, un momento alto, l’antidoto ai muri che intanto si alzano in Europa orientale, e che va letto anche come una mossa politica nazionale, e personale, di Angela Merkel, la cancelliera che oggi torna a chiedere una soluzione condivisa ai Paesi Ue.

 

E però, come sostiene sul Foglio Giuliano Ferrara, «l’universalismo della libertà e la protezione della persona non possono fermarsi alla accoglienza umanitaria», i Paesi occidentali non devono limitarsi a giocare in difesa ma servirebbe passare all’offensiva per risolvere alla radice almeno qualcuna delle molteplici cause alla base della pressione migratoria.

 

Sbaraccare lo Stato Islamico, il Daesh, paradossalmente, sembra la missione più semplice, se è vero, come dicono alcuni esperti, che basterebbe una brigata corazzata per bastonare come si deve sul terreno i fascisti islamici.

 

La Francia, con ogni probabilità affiancata dalla Gran Bretagna, pare ci stia pensando. Il presidente francese Hollande ha annunciato «voli di ricognizione» sulla Siria «in vista di eventuali raid contro lo Stato islamico», precisando però che non ci saranno interventi di terra, giudicati «irrealistici», perché «ci trasformeremmo in una forza di occupazione». 

 

Il rischio è un replay della sciagurata operazione in Libia, mette in guardia in un editoriale scritto con tempismo Mario Del Pero, ma c’è un aspetto che lo storico Del Pero, da sempre attento alle cose americane, avrebbe potuto evidenziare con più rilevanza e cioè è il ruolo che in questa bailamme stanno giocando gli Usa.

 

Un ruolo poco chiaro, almeno quanto quella espressione, “left behind” (intervenire de relato in azioni militari condotte da altri), che ha caratterizzato la strategia obamiana degli ultimi anni.

 

Nei giorni scorsi, il capo di stato maggiore americano, generale Martin Dempsey, nominato nel 2011 dal presidente Obama, se n’è uscito con una dichiarazione che lascia esterrefatti: ci vorranno 20 anni per gestire la questione dei migranti che partono da Siria e Nord Africa verso l’Europa. 20 anni? E in base a quali analisi alla Casa Bianca si fanno scenari del genere?

 

Forse pensando alla politica estera che l’America sta portando avanti. Perché è logico che se gli Stati Uniti continueranno così, rinunciando al ruolo internazionale che hanno sempre giocato, serviranno decenni per provare a rimettere le cose a posto. D’altra parte non c’è soltanto il problema della Siria e del Medio Oriente, c’è l’Africa, un continente intero in ebollizione (per dire, gli arrivi più numerosi in Italia sono quelli degli eritrei e sapete com’è stata ribattezzata l’Eritrea dagli esperti? La "Corea del Nord del Corno d’Africa").

 

Cosa pensano di fare gli Usa in Africa? Vogliono appaltarla alla Cina, se va bene? E il Medio Oriente? In subappalto all’Iran? O magari alla Turchia, che tante responsabilità ha nei caotici flussi provenienti dalla Siria e diretti verso i Balcani e l’Europa orientale… Erdogan, si sa, gioca la sua partita, tutta interna (questione curda, per dirne una), ma che sta facendo la Casa Bianca per dare la sveglia ad Ankara in materia d’immigrazione?

 

Viene da dire, e pesa dirlo, che Obama ha rovesciato le fondamenta della politica estera del suo partito, il principio basilare dell’internazionalismo, e dell’interventismo, democratico. Nei lunghi due mandati della sua presidenza, il Presidente ha preferito una lunga ritirata, complicata dal fatto che ormai in Occidente la parola guerra è tabù: al massimo si lanciano operazioni dal cielo o dal mare, interventi che – è bene ricordarlo – alimentarono alla grande la propaganda binladesca sulla codardia degli occidentali che non affrontavano i jidadisti sul terreno (era l’epoca dei missili clintoniani in Sudan).

 

Per non dire delle operazioni dissennate come quella in Libia, appunto, con le quali si è soltanto messo in pericolo Paesi alleati come l’Italia. E adesso, dopo tutti questi capolavori, cosa ci vengono a raccontare i numeri uno di quella che resta la superpotenza militare globale? Che ci vorranno 20 per risolvere la crisi dei migranti? Che dobbiamo affidarci e sperare unicamente nella diplomazia?

 

Questo è il tradimento dei principi liberali e democratici che hanno sempre guidato gli Stati Uniti, il segnale di una strategia che si potrebbe riassumere con la formula “accordi con tutti, alleati di nessuno”, un velato isolazionismo (neanche tanto) che dimostra la mancanza di una visione d’insieme e il ricorrere a soluzioni spicciole per tappare i buchi aperti dalle diverse crisi di scenario che si ripropongono puntualmente in questo o in quel quadrante.

 

Per favore, ci permettiamo di dirlo proprio perché amiamo sinceramente l’America e non metteremmo mai in discussione l’alleanza che lega i nostri Paesi, per favore, non si può abbandonare la propria ‘missione manifesta’ e poi venirci a raccontare che serviranno 20 anni per risolvere le cose in Nord Africa e Medio Oriente.