Il trappolone veltroniano sulle pensioni

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Il trappolone veltroniano sulle pensioni

31 Marzo 2008

Avvicinandosi la data del voto il dibattito sulle pensioni somiglia ogni giorno di più ad una corrida. Intendiamoci bene. Non mi riferisco alla disfida (assai poco sportiva visto che il bovino ha assai poche possibilità di vincere e nessuna di sopravvivere) tra un agghindato matador e un “nero toro di pena” (per dirla con Federico Garcia Lorca), ma a quella assai più prosaica dei dilettanti allo sbaraglio, lanciata, parecchi anni or sono, dal grande Corrado, rimasta una trasmissione cult nonostante i vani tentativi d’imitazione.

A dar fuoco alle polveri è stato Walter Veltroni, che ha preso in contropiede il Cavaliere, con una proposta – questa volta – in tema di pensioni. Come è noto, chi è cresciuto alla scuola del Pci (anche se non è mai stato comunista) è serio e preparato. Pur se deve raccontare delle balle lo fa in modo scientifico. Così il progetto del Pd è formulato in modo tale da dissimulare i numerosi problemi sollevati e irrisolti. Bisogna proprio pensarci su per scoprirne le manchevolezze ed individuare le trappole di cui è costellato.

Cominciamo dagli aspetti di quadro generale. L’operazione proposta consiste in una serie di benefici fiscali (mediante detrazioni) da concedere ai pensionati in modo da aumentarne il reddito disponibile. E’ evidente che il progetto si mette in fila per caricare il fabbisogno sul “tesoretto”. Ammesso che il surplus ci sia ancora (visto il peggioramento della congiuntura c’è da dubitarne) quanti “mestieri” gli viene chiesto di svolgere, a quante situazioni è chiamato a provvedere ? Anche ai lavoratori dipendenti e alle imprese sono state promesse agevolazioni il cui costo andrà sempre ad incidere, per di più dal mese di luglio, sul “tesoretto”. Nessuno, però, si è preso la briga di accertare le effettive disponibilità, dal momento che nemmeno Padoa Schioppa (TPS) se la sente di fornire dati certi.

Ci sono poi problemi specifici che riguardano l’equità e la sostenibilità della proposta. Circa il primo obiettivo, ancora una volta saranno esclusi i trattamenti più bassi, mentre trarranno un beneficio (invero modesto) le pensioni fino a 55mila euro l’anno. E’ poi sottostimata la copertura di 2,5 miliardi annui. Le pensioni interessate ammontano a 6,5-7 milioni. Se tutte ricevessero il miglioramento indicato l’onere sarebbe di 4,5 miliardi. Il requisito dei 65 anni riduce effettivamente la platea dei beneficiari, ma occorrerà almeno un miliardo in più dei 2,5 miliardi stimati.

Ma la trappola è ancora un’altra. Il fatto che sia difficile da spiegare non deve indurre a tacere.  Di che cosa si tratta ? Ancora una volta la sinistra toglie ai figli per dare ai padri. In sostanza, i miglioramenti delle pensioni vigenti saranno compensati da tagli sui trattamenti futuri. Come avviene tutto ciò ? Veltroni ipotizza una revisione del sistema per cui, nel calcolo contributivo, non venga fatto più di usare l’anticipazione annua della crescita del Pil mediamente dell’1,5% contenuta nel meccanismo di calcolo (contributivo, appunto) introdotto dalla riforma Dini del 1995 ed applicato ai lavoratori più giovani. Solo che quel correttivo, allora, fu richiesto dai sindacati per alzare il tasso di sostituzione (ovvero il rapporto tra la pensione e l’ultimo reddito dell’interessato).

Con quel marchingegno il sistema era in grado di assicurare un trattamento, nel modello contributivo, pari a circa il 60% dell’ultima retribuzione. Se venisse cancellata la rivalutazione del Pil inglobata nel calcolo – come propone il Pd –  la copertura (ovvero il tasso di sostituzione) precipiterebbe subito al 45%.  In sostanza, l’onere di una migliore rivalutazione nel tempo verrebbe pagato dalla liquidazione di una pensione più bassa all’inizio. Quasi una partita di giro. Anzi, una presa in giro. I sindacati sembrano non essersene accorti, impegnati come sono a tessere le lodi di Veltroni e del Pd. Il bello è che nella legge che ha recepito il protocollo del 23 luglio scorso ai giovani veniva fatta la “promessa da marinaio” di una pensione pari al 60% dell’ultimo reddito, da conseguire in forza degli effetti delle politiche attive del lavoro.   

E il Pdl ? Mi sbaglierò, ma a me sembra che la confusione sia tanta. Cominciamo per ordine. Intanto è stupefacente che autorevoli leader politici si rivelino grandi scopritori dell’acqua calda e contrappongano agli inganni di Veltroni l’introduzione di un sistema di rivalutazione automatica delle pensioni in rapporto al costo della vita (vogliamo chiamarla scala mobile ?) che è sempre esistito, anche dopo che è stato abolito quello sulle retribuzioni. Magari la rivalutazione è imperfetta visto che copre interamente solo una quota di pensione pari a 5 volte il trattamento minimo Inps (circa 2,5mila euro mensili lordi, non già i mille euro proposti dal Cavaliere) mentre le ulteriori quote sono rivalutate al 75% (salvo il ricorso temporaneo ad interventi di solidarietà sulle pensioni più elevate). A questi valori, poi, viene applicata l’inflazione programmata con conguaglio a fine anno rispetto a quella reale. Come si vede il meccanismo può essere migliorato (sarebbe importante, per esempio, ripristinare un secondo sistema di indicizzazione collegato alla dinamica delle retribuzioni degli attivi come esisteva fino al 1992 prima della riforma Amato), ma è sbagliato ragionare come se fossimo all’anno zero e fare proposte che soltanto la scarsa conoscenza – in generale – della materia previdenziale consente di non riprendere e biasimare solennemente.

Silvio Berlusconi (ma perché lo consigliano male ed in modo estemporaneo?) ha rilanciato persino il ripristino del superbonus introdotto da Roberto Maroni, che ha cessato i suoi effetti alla fine dello scorso anno. In sostanza, non è più consentito dal 1° gennaio ricevere il bonus (di notevole portata: una somma esentasse pari al 33% della retribuzione) nel caso di rinvio volontario del pensionamento di anzianità; e quanti lo hanno percepito nei mesi precedenti hanno smesso di avvalersene ancorchè siano  restati sul posto di lavoro.

L’incentivo, introdotto dalla legge Maroni, ha corretto profondamente una norma già prevista dall’ordinamento (proposta dal ministro Cesare Salvi) che non aveva praticamente funzionato perché era stata formulata in maniera più conveniente per il datore che per il lavoratore (il quale, per poter ottenere l’incentivo, doveva dimettersi, farsi assumere a termine ed accontentarsi di inserire in busta paga soltanto la sua parte di aliquota contributiva, per giunta pagando più tasse).

Quale esito ha avuto il superincentivo, una misura che – quanto a valore economico – era in grado di reggere qualunque sfida dal momento che ha procurato agli aderenti miglioramenti netti compresi tra il 40 e il 50% della retribuzione? Dal novembre 2004 alla fine del 2007 delle 104.031 presentate sono state accolte 96.564 domande di cui 85.258 riconosciute ad uomini e solo 11.306 a donne. Quanto ai settori di competenza il 58,65% degli interessati (51.685) apparteneva all’industria, il 17,26% al commercio, il 13,06% al credito, l’8,18% agli enti pubblici, il 2,21% all’artigianato, lo 0,37% all’agricoltura; lo 0,26% è classificato come “altro%22.  Il 60% di coloro che hanno percepito il bonus aveva un reddito annuo compreso tra 20mila e 50mila euro l’anno (un quarto è compreso tra 20mila e 30mila). L’8,3% ha un reddito superiore a 100mila euro e quasi il 5% nella fascia compresa tra 80mila e 100mila.  Soffermando la nostra attenzione su di un particolare gruppo di regioni (si veda la tabella) viene fatto di notare, ad esempio, che l’Emilia Romagna è al terzo posto (dopo Lombardia e Lazio) per quanto riguarda il numero delle donne che hanno ottenuto il bonus (per rimanendo il “gentil sesso” in una posizione del tutto minoritaria). Quel gruppo di regioni (Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Toscana, Umbria) annovera il 43,2% dei trattamenti concessi. La cosa non deve stupire: le pensioni di anzianità sono come l’ombra della società industriale: una prerogativa di quel particolare tipo di occupazione manifatturiera della grande impresa, che trasmette, 360 gradi, la propria luce nel tempo e nello spazio, come una stella ormai spenta.