Il tribalismo dei giovani senza padre

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Il tribalismo dei giovani senza padre

28 Marzo 2007

Contra factum non valet argumentum. In altri termini: anche gli schiaffoni sonori segnano il ritorno alla realtà. Chi banalizza o, peggio, mena scandalo politicamente corretto sul fatto ormai noto, è perduto. Se un branco, con rito tribale, costringe una dodicenne a fare sesso orale e ci fanno un filmino subito circolato dappertutto, indicando infine questo gesto con la solita formula del così fan tutti, ebbene questi manigoldi meritano una guerra familiare che infatti non li ha risparmiati: i dettagli li ha gustosamente forniti Il Foglio del 27 marzo. Le hanno prese non solo i giovinastri, ma anche un papà chiamato in soccorso da uno di loro. Ben fatto. Naturalmente, così non fan tutti… i padri e, infatti, sono fioccate le denunce, ma, insomma, il dado è tratto: la realtà della punizione che sanziona la malefatta è in qualche modo tornata.

Cosa sta accadendo a questo residuo di realtà, un tempo ritenuta originaria, che oggi noi conservatori senza complessi di inferiorità chiamiamo ancora famiglia? In un paese in cui, secondo i dati dell’indagine Eurostat sullo stato di salute dell’Europa, solo un abitante su quattro ha meno di 24 anni e, considerando gli under 15, le cose vanno ancora peggio, l’adolescenza sta scoppiando e l’assenza del padre sta diventando una calamità antropologica e sociale. La violenza è ancora una volta un rito tribale e le tribù sono il segno costante e dirompente del mondo giovanile, dominato dal narcisismo primario di adolescenti-bambini che, pestando i piedi per terra, ottengono tutto da padri-zombies e madri nevrotiche, nella più totale assenza di una proposta educativa ferma, radicale, irregolare perché esposta alle sofferenze ed ai sacrifici dell’altro. Dunque, nella più totale assenza della paternità che progetta per il figlio il rito di passaggio alla vita e della maternità che inscrive la persona nel solco della cura di sé e della realtà circostante.

Si sta consumando un dramma in Italia, anello debole dotato di un nichilismo forte e apparentemente gaio, in realtà sazio e disperato: non è dappertutto così. Il caso italiano sta diventando un case study perché sembra non sussistere dialettica brutale tra le generazioni, soltanto il calar delle braghe degli adulti e lo spettro della società permissiva. Negli Stati Uniti, che non se la passano tanto meglio, ci sono pizzerie che mettono dati e volti dei padri scappati da casa senza dare alcun sostentamento ai propri figli sulle scatole delle pizze e questo fatto apre una ferita colossale nella vicenda dello scontro tra le generazioni, non risarcisce e anzi vìola il dogma borghese occidentale della privacy, ma almeno scuote e trascina nell’agone, fuori dalle tribù e dentro una civiltà che non accetta di subire passivamente la detronizzazione dell’autorità paterna e familiare, così, senza batter ciglio.

La tribalizzazione del mondo giovanile, che somiglia al modello di Blade Runner, uccide la libertà dell’individuo e apre la porta all’alibi degli adulti, l’impotenza in primo luogo, che funziona sempre da aperitivo del pietismo d’accatto. Dopo non rimane altro che ammirare la prontezza di riflessi comunicativi del marketing (prego, visitare http://www.mymarketing.net), che afferra in tempo reale le tendenze e applica ad esse il brand che serve al mercato: si discetta di marketing tribale e di tribal branding. In che termini? Come si deve, con tanto di sociologia di supporto: “Le tribù, per esistere, hanno pertanto bisogno di qualcosa che permetta loro di consolidarsi e affermarsi: un luogo, un emblema, un rituale, ecc. E’ per questo motivo che, anche nei prodotti/servizi che condividono, i membri delle tribù cercano più il valore di legame o “linking value”, che il loro effettivo valore d’uso: in quest’ottica, il marketing tribale si configura pertanto come una strategia (di marketing) volta a creare entusiasmo e comunità, anche se ridotta, intorno ad un prodotto o servizio per legittimarne l’insito valore di legame” (Paola Lazzarini).

Le tribù fanno tendenza e mercato, ovvio, ma hanno anche luoghi e rituali da rispettare. Salvo quando intervengono i padri che menano le mani intervenendo, da par loro, sulla realtà. Non basta, ma è un insorgenza di novità %28antica) in un asfittico (e vecchio) pourparler di “crisi della scuola” e dintorni. Almeno, nella decadenza, salviamo il decoro dei costumi.