Il trionfo di De Magistris è figlio della mancata riforma della giustizia
30 Maggio 2011
Dei tanti elementi chiamati in causa dalla sconfitta di Pdl e Lega nei ballottaggi ce n’è uno che mi pare particolarmente gravido di presagi infausti, non per questa o quella parte politica ma per i cittadini. E’ il trionfo di Luigi de Magistris a Napoli.
De Magistris è uno che da pubblico ministero ha trasformato la giustizia in una personale crociata mediatica contro la politica e da parlamentare si è fatto un nome impancandosi a giudice inquisitore dei suoi colleghi. In entrambi i casi il suo curriculum non ha fatto registrare grandi successi. Le sue inchieste da magistrato si sono tutte rivelate delle bufale e la sua azione politica non ha lasciato tracce, almeno fino ad oggi. Poi de Magistris ha vinto a Napoli.
C’è in questo fenomeno un segnale preoccupante che non riguarda solo Napoli e illumina l’influenza che in questo paese si è guadagnata la magistratura, in particolare quella militante e associata. In Italia l’inclinazione dell’opinione pubblica nei confronti dei giudici ha sempre avuto l’andamento di un pendolo: ci sono stati periodi di grande visibilità e fiducia come ai tempi di Tangentopoli e momenti di discredito come si vide nel voto sul referendum per la responsabilità civile dei magistrati.
Nella prima fase della discesa in campo di Berlusconi il pendolo dell’opinione pubblica ha a lungo oscillato sul quadrante del garantismo. L’accanimento dei giudici durante i suoi primi governi, l’avviso di garanzia recapitato in pieno vertice Onu a Napoli, le perquisizioni a tappeto nelle sedi Fininvest, i mille rivoli giudiziari dei suoi infinti processi, avevano un effetto corroborante per il consenso verso Berlusconi.
Poi, con il passare degli anni, quando si è visto che Berlusconi non sarebbe stato un fenomeno passeggero e che le sue risorse politiche, personali, carismatiche lo avrebbero tenuto alla ribalta per lungo tempo, l’establishment italiano ha cominciato a guardarsi in giro in cerca di qualcuno o qualcosa che potesse fermarlo.
Si è visto quasi subito che dall’opposizione politica di sinistra non sarebbe arrivata una soluzione definitiva e si è così cominciato a costruire quel fenomeno mediatico-giudiziario che va sotto il nome di anti-berlusconismo. La mostrificazione di Berlusconi, la sua graduale trasformazione nel “nemico”, nella quintessenza del “male assoluto” si è fatta strada nel discorso pubblico degli ultimi anni e nell’immaginario politico di una crescente porzione di italiani. L’opposizione si è fatta trascinare in questo vortice, e anche leader come Walter Veltroni che hanno provato a resistere, ne sono stati infine travolti. In questo modo la sinistra e la sua maggiore espressione nel paese, il Pd, ha perso quella funzione di guida tipica dei grandi partiti popolari e si è accontentata di una posizione vociante e gregaria.
Di conseguenza, l’establishment o i poteri forti se preferite, hanno consegnato la prima linea dello scontro con il “nemico” Berlusconi alla magistratura militante e ai movimenti anti-politici. Sono questi infatti i vincitori di questa tornata elettorale e probabilmente saranno questi a piantare la loro bandiera sulla fine del berlusconismo.
De Magistris ha trionfato perché incarna perfettamente questo doppio identikit: l’uomo di legge con la spada e le manette e il politico che infanga la politica. L’elezione dell’ex magistrato però segnala anche qualcosa di più prfondo: mai come oggi la magistratura si trova al culmine del suo potere e il pendolo sembra essere inchiodato sul quadrante del giustizialismo. E’ il portato dell’odio seminato contro Berlusconi che ha fatto sì che oggi molti italiani ritengano lecito e necessario ogni mezzo per farlo furoi. Le toghe si sono così assunte missione salvifica dell’eliminazione del mostro e calcano la scena pubblica con il piglio dei nuovi eroi. Lo spazio conquistato dall’ordine giudiziario non è mai stato così ampio e incontrastato e questo è un lascito di cui i cittadini porteranno a lungo il peso.
Paradossalmente, ma neppure tanto, la decennale guerra di Berlusconi contro la magistratura ne ha rafforzato il potere a dismisura e ha ridotto lo spazio delle garanzie per tutti. Anni di promesse e poi di minacce di riforme, separazioni di carriere, abolizioni dell’obbligatorietà dell’azione penale, non hanno prodotto nulla, neppure una straccio di leggina sulle intercettazioni. Berlusconi prima o poi uscirà di scena e avrà comunque i mezzi e le risorse per proteggersi dall’assedio giudiziario, o forse questo per lui finirà come per incanto, ma gli italiani avranno ancora a lungo a che fare con la magistratura più potente e tecnicamente irresponsabile dell’Occidente.
Secondo Nicola Porro sul Giornale di lunedì, quelli che credono che sulla giustizia Silvio Berlusconi esageri sarebbero divisi in due gruppi: il primo attacca il Cav. per partito preso e lo ritiene un criminale in fuga dai suoi giudici, il secondo crede che la riforma della giustizia vada fatta comunque. In realtà sono proprio questi ultimi a essere oggi i più incazzati e preoccupati.
Quando Berlusconi spiega a Barack Obama che l’Italia è una specie di dittatura dei giudici non ha tutti i torti, solo non dovrebbe dirlo al presidente degli Stati Uniti, ma scusarsene con gli italiani per non averlo saputo evitare.