Il vecchio Egitto del golpe militare e il nuovo della rivoluzione liberale

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Il vecchio Egitto del golpe militare e il nuovo della rivoluzione liberale

14 Febbraio 2011

Colpisce quanto facilmente la grande stampa internazionale, che ha screditato per anni la difficile impresa della democrazia in Iraq, sia disposta a paragonare la “rivoluzione del Nilo” alla caduta del muro di Berlino. A Baghdad ci sono state libere elezioni, in Egitto no. Come colpisce il sermone nonviolento del Presidente Barack Obama, tardivo manifesto di quella  “religione del pacifismo” che tante volte ha significato abbandonare chi si batteva per la democrazia.

Benvenuti nel club della libertà, che a quanto pare non è fatto solo da un ristretto gruppo di consiglieri della Casa Bianca assetati di sangue. Un grande storico, Jacques Le Goff, nei giorni scorsi ha confessato di essere rimasto sconvolto dalle proteste del Cairo. Forse il suo stupore sarebbe durato meno ripensando alla Rivoluzione liberale degli ultimi trent’anni, un movimento che si è irradiato dal Portogallo alla Spagna, dagli Usa alla Gran Bretagna, dall’America Latina all’Europa Orientale, passando per la Corea del Sud, il Sudafrica e l’Indonesia. I paesi arabi e musulmani non potevano mancare all’appuntamento del cambiamento.

Sappiamo che in Egitto non basteranno nuove elezioni. Servono veri partiti, istituzioni riformate, il rispetto della legge e della libertà di espressione. Le forze democratiche e liberali, i giovani, le minoranze, devono esprimere nuovi leader e trovare una visione comune per esercitare il consenso. Occorre tempo, El Baradei ha ragione quando chiede di rimandare le elezioni oltre i sei mesi previsti dal consiglio supremo militare. In ogni caso, se i Fratelli Musulmani si mostreranno ostili come sta già accadendo, gli Usa hanno l’obbligo di preservare il voto dal pericolo del fascismo islamico.

Non è una novità che il vecchio asse del male stia festeggiando. Esponenti dell’Hezbollah libanese e di Hamas, portavoce del governo iraniano, si attribuiscono il merito morale della rivolta egiziana, descrivendola come un momento di autodeterminazione delle masse islamiche. Gheddafi invita i palestinesi a ribellarsi a Israele. Dietro la retorica sulla liberazione dai dittatori marionetta degli americani, però, i mullah e gli autocrati del mondo arabo nascondono i loro problemi interni. Scattano nuovi divieti per l’Onda Verde, oggi a Teheran ci si aspetta una recrudescenza delle proteste.

Gli egiziani sembrano increduli di avercela fatta da soli e determinati ad andare avanti con una nuova megamarcia prevista per venerdì prossimo. Nonostante le dimissioni di Mubarak, la piazza chiede il rilascio dei giovani fermati nei giorni scorsi. I militari depongono le armi e tolgono il filo spinato, una scena di calma apparente, ma i manifestanti avanzano altre richieste al direttorio, che almeno in parte sono state soddisfatte: sciolti i due rami del parlamento si procederà a riscrivere alcuni articoli della Costituzione. Ma i generali al comando sono legati mani e piedi al vecchio Faraone in pensione. La speranza è che i "golpisti ad interim" non si mettano in testa di diventare loro il nuovo stato.