Il veleno antisemita fermenta nei Parlamenti di tutta l’Europa

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Il veleno antisemita fermenta nei Parlamenti di tutta l’Europa

30 Settembre 2010

Pochi giorni fa l’eurocommissario al Commercio, Karel De Gucht, già ministro degli Esteri belga, ha potuto tranquillamente affermare senza generare scandalo che “non bisogna sottostimare la lobby ebraica al Parlamento americano” e “nemmeno l’opinione, al di fuori della lobby, dell’ebreo medio che non vive in Israele”, in quanto “nella maggior parte degli ebrei c’è una ‘fede’ nell’avere ragione, e la fede è qualcosa che si può difficilmente combattere con argomenti razionali”. Catherine Ashton, che guida la politica estera dell’Unione europea, ha candidamente fatto sapere che De Gucht “non intendeva offendere nessuno”. Le parole di De Gucht non contenevano oblique accuse al “sionismo”. Il suo target erano direttamente gli ebrei. Il Wall Street Journal ha montato una dura campagna contro De Gucht, ma la risposta che ha avuto da tutte le cancellerie del vecchio continente è sempre stata la stessa: “No comment”.

Il veleno antisemita è tornato a circolare anche nell’alta burocrazia di Bruxelles e nei parlamenti di tutta Europa. Ha fatto scuola la frase dell’allora ambasciatore francese a Londra, Daniel Bernard, noto per aver definito Israele “quel piccolo Stato di merda”. Il diplomatico inglese Rowan Laxton è stato arrestato per aver gridato “fottuti israeliani, fottuti ebrei”. Il parlamentare laburista inglese Tom Dalyell ha parlato di “cabala ebraica” e sempre a Londra il parlamentare Gerald Kaufman ha paragonato Israele alla Germania nazista. In Olanda il parlamentare socialista Harry von Bommel ha gridato per strada “Hamas Hamas, ebrei al gas”, durante un corteo pro Gaza. In Norvegia il ministro delle Finanze, Kristin Halvorsen, sponsorizza il boicottaggio del “made in Israel” e in Irlanda il parlamentare Aengus O’-Snodaigh ha paragonato Israele a Goebbels. Questi e altri fatti hanno spinto il grande storico Robert Wistrich ad affermare che “c’è più antisemitismo nel 2010 che nel 1910”. Il presidente del Consiglio ebraico europeo, Moshe Kantor, ha appena fatto sapere che “la situazione degli ebrei europei è la peggiore dalla Seconda guerra mondiale: sinagoghe, scuole e asili ebraici hanno  bisogno di filo spinato e protezione, gli ebrei hanno paura di girare per strada con i simboli ebraici”. Ovunque la stessa diagnosi pessimista, da Parigi a Londra. Il magazine belga Der Standaard rivela che gli ebrei stanno fuggendo da Anversa, un tempo nota come “la Gerusalemme del nord”. L’Università di Aix-en-Provence ha capitolato cancellando un convegno letterario al quale avrebbe dovuto partecipare anche la scrittrice israeliana Esther Orner.

C’erano state troppe proteste di scrittori arabi. Intanto nelle aule del Consiglio dei diritti umani dell’Onu, nella magnifica cornice di Ginevra, il regime baathista di Damasco ha accusato Israele di insegnare ai bambini a “succhiare il sangue arabo”. La tendenza a mobilitarsi per gli ebrei defunti si accompagna alla miopia davanti alle manifestazioni di antisemitismo attuale e alla diffamazione collettiva degli ebrei dello stato di Israele.

Ad Amsterdam l’estate si è chiusa con la caduta di un albero molto celebre. Durante una tempesta è caduto il vecchio ippocastano che Anne Frank vedeva dal nascondiglio dove era confinata con la famiglia. I giornali di tutto il mondo hanno lanciato la storia dell’albero e ne hanno mostrato le immagini. Ne sono stati addirittura prelevati dei germogli da piantare negli Stati Uniti affinché l’albero della tolleranza possa continuare a vivere. Mentre l’ippocastano crollava, Sarah, una quindicenne ebrea di Amsterdam della stessa età che aveva Anne Frank quando venne uccisa a Bergen Belsen, scriveva al quotidiano Het Parool che non sarebbe più uscita di casa con al collo la sua stella di David.

Sarah era stata picchiata da tre giovani che l’avevano individuata come ebrea. La notizia non ha trovato molto spazio sui giornali, presi a piangere l’ippocastano di Anne Frank. La plurisecolare sinagoga olandese di Weesp è appena diventata la prima in Europa a essere chiusa durante shabbath per “motivi di sicurezza”. Sembra avverarsi la cupa premonizione dello psichiatra inglese Theodore Dalrymple, che in un suo nuovo libro parla per l’Europa di “nuova sindrome di Vichy”.

Tratto da "Il Foglio"©