
“Il vero bersaglio non è Parwez ma suo fratello Yaqub”

05 Febbraio 2008
di redazione
Intervista
a Jean MacKenzie di Andrea Holzer
Jean MacKenzie è la direttrice del IWPR (Institute
for War and Peace Reporting) in Afghanistan,
istituto finanziato dal governo britannico che si occupa di costruire la
democrazia nelle prime linee dei paesi in guerra e del cambiamento “per mezzo
del potere del giornalismo professionale”. È l’IWPR che ha dato la possibilità
a gente come Yaqubu Ibrahimi di portare avanti le sue indagini contro i poteri
forti dei fondamentalisti e dei signori della guerra nel suo paese. Ibrahimi e
suo fratello Sayed Parwez Kambaksh hanno conseguito, grazie anche alla guida della
MacKenzie, un risultato d’importanza fondamentale: portare all’attenzione della
stampa la situazione di anarchia che soffoca la democrazia in Afghanistan.
Yaqub e Kambaksh hanno per questo recentemente ricevuto il premio di giornalisti
dell’anno dall’Associazione Italiana Giornalisti.
Signora
MacKenzie, quello che sappiamo su questa situazione è che Parwez è stato
accusato di blasfemia nei confronti dell’Islam per aver scaricato un documento
da internet sui diritti delle donne, è giusto?
Kambaksh insiste sul fatto che la sua confessione è
stata manipolata. Lo hanno tenuto in isolamento per otto giorni. Gli hanno
detto che lo avrebbero ucciso se non avesse firmato questa confessione che lo
accusava di aver scaricato quel documento da internet. Ma lui ha sempre negato
di averlo fatto. La seconda cosa da tenere a mente è che il documento che lo
accusano di aver scaricato e fatto circolare non è un’analisi scientifica dei
diritti delle donne nell’Islam, è invece un articolo piuttosto complicato di un
iraniano che si fa chiamare “Arash Senza Dio” dal titolo “salvare le donne
iraniane dalla schiavitù e dalla superstizione”. Si tratta quindi un articolo
che, se fatto circolare in Afghanistan, potrebbe crearti non pochi problemi.
Per esempio nel pezzo si fa riferimento
al Profeta come ad un ladro, un assassino ed un fornicatore e questo è solo
l’inizio! Se ti ricordi della situazione che si è venuta a creare dopo il caso
delle vignette di quel giornale olandese, capirai che questi sono temi di cui
non si può parlare in Afghanistan. Quindi le persone che sono dietro questa
accusa (che Parwez , come ho detto, rifiuta) sanno bene quello che stanno
facendo, è un accusa molto seria, non si parla di diritti delle donne, le
persone che si stanno occupando di questo hanno organizzato un accusa molto,
molto più seria.
Per quello che ci è dato di sapere la vera
questione non è tanto Parwez ma suo fratello, giusto?
Sì, questo è quello che crediamo stia succedendo,
suo fratello, Yaqub Ibrahimi è un giornalista molto importante da circa 5 anni.
In tutto questo tempo ha scritto molti articoli di taglio investigativo
riguardo i comandanti nel nord, i signori della guerra. Specialmente durante
gli ultimi tre mesi ha scritto alcuni articoli che parlano di questa gente e
delle atrocità che stanno perpetrando nei confronti della persone normali,
rapimenti, estorsioni, omicidi e Yaqub ha perfino fatto dei nomi. Da quando
questi articoli sono apparsi Yaqub e la sua famigli hanno iniziato a ricevere
strane telefonate, gli dicevano che se non la smetteva di scrivere certe cose
lo avrebbero ucciso. Il giorno dopo l’arresto, è arrivata gente dal National
Directorate of Security all’ufficio di Yaqub per cercare nel suo computer i
dati relativi a questi articoli e confiscare quello che potevano, nomi numeri
di persone e fonti, e questo non ha niente a che vedere con Parwez, giusto? Si
tratta evidentemente di un altro segno che il vero bersaglio qui è Yaqub e le
cose di cui egli ha scritto riguardo i signori della guerra nel nord.
La
petizione del The Independent ha raccolto circa 48.000 firmatari e in più c’è
Facebook che sta facendo la stessa cosa, crede che questo abbia realmente
aiutato a far ritirare l’accusa?
Io credo di si, il senato ha inizialmente supportato
la sentenza e poi ha ritrattato e noi speriamo che questo
sia anche dovuto anche alla pressione internazionale. Il problema è che il
tutto potrebbe mettere il presidente dell’Afghanistan in una situazione molto
difficile. Se Karzai dovesse invalidare la sentenza della corte, infatti,
potrebbe essere percepito in patria come una marionetta nelle mani degli stati
stranieri cosa che non vuole assolutamente. Quindi rovesciare la sentenza su Parwez
potrebbe costargli molto. Esiste infatti una lobby religiosa molto potente che
farebbe di tutto per far rispettare la legge. Quindi la pressione
internazionale è una specie di arma a doppio taglio: da una parte contribuisce
a far conoscere la questione al mondo, ma d’altra parte potrebbe avere
l’effetto di far trincerare certa gente dietro le sue posizioni, chiaro?
Chiaramente
siamo tutti molto preoccupati per la situazione di Parwez ma il vero problema
forse riguarda l’Afghanistan e il fondamentalismo, che ne pensa?
Beh, il problema è proprio la legge in Afghanistan. La
costituzione dell’Afghanistan infatti non comprende nessun tipo di codice che
contraddice l’Islam o la Sharia. Questo ovviamente influisce sulla libertà di
stampa e di opinione, perché ogni azione compiuta contro l’Islam diventa
automaticamente criminale, il problema è nella legge afgana. Quindi, se
pensiamo che tutta questa vicenda riguardi solamente Parwez, siamo totalmente
fuori strada.