Il vero deficit dell’Europa Meridionale è quello delle infrastrutture
29 Novembre 2011
Si parla ufficialmente di "deficit democratico" dell’Europa, di crisi delle sue classi dirigenti e della politica spodestata dalla tecnocrazia. La Ue è al bivio: seguire la strada percorsa fino a oggi, e cioè dare più potere a Bruxelles (al Superstato europeo più che agli Stati Uniti d’Europa), oppure rispondere al processo di frammentazione dell’Unione connotando questa parola in senso positivo, all’insegna del motto "less is more".
Basta con la devoluzione delle competenze agli organismi sovranazionali, è tempo di riacquistare sovranità e difendere i rispettivi interessi nazionali. Come? Immaginando inedite reti di alleanze determinate dal nuovo equilibrio di potenza sorto all’interno della Ue. Quali? Per esempio un’intesa possibile ed auspicabile tra Italia, Spagna e Grecia, che risponda allo strapotere tedesco, sul terreno delle grandi questioni come lo sviluppo delle infrastrutture, la sicurezza e l’immigrazione, il destino dell’euro e le politiche di cooperazione.
Diamo il via ad una serie di articoli, traduzioni ed approfondimenti che provano ad esplorare la fattibilità di un ripensamento del Mediterraneo, a metà tra passato e futuro, realismo e sforzo visionario, ambizione politica ed interesse economico.
1. Le infrastrutture
Il traffico delle merci nell’eurozona (fig. 1) dà l’idea di come il Vecchio Continente sia diviso tra i Paesi del Nord, connessi e integrati fra loro, e quelli del Sud, condannati all’isolamento se non reagiranno presto e in maniera coesa allo status quo. Nell’attuale contesto di “regionalizzazione” della Ue – con il formarsi di blocchi di alleanze in cui si riflettono gli spettri vaganti del nazionalismo (tedeschi contro greci, per fare un esempio) – i Paesi del Sud (Italia, Grecia, Spagna) sono rimasti tagliati fuori dal “grande gioco” che ha riequilibrato i poteri all’interno dell’Europa con il rafforzamento dell’area di influenza tedesca.
La politica di potenza espressa dai diversi Stati europei ha sicuramente una grande importanza (si pensi all’Europa Orientale che guarda agli Usa per sfuggire alla stretta tra Mosca e Berlino, piuttosto che all’intesa anglo-francese durante la guerra in Libia), ma la debolezza dell’Europa Meridionale è innanzitutto figlia della geografia: i Pirenei, le Alpi e le catene montuose dei Balcani rappresentano uno svantaggio competitivo per italiani, greci e spagnoli, e sono una delle spiegazioni per cui questi popoli, così vicini e storicamente prossimi, oggi sono comunque divisi tra loro.
L’asse della mobilità europea – infrastrutture e trasporti – attualmente si concentra nella parte Nord-Occidentale dell’Europa, dal porto di Rotterdam in Olanda al cuore della Ruhr tedesca; Spagna e Grecia sono ai margini, mentre l’Italia, che potrebbe sperare di parteciparvi avendo una rete infrastrutturale di partenza più progredita degli altri Paesi meridionali, sconta un piano di ammodernamento non sempre all’altezza dei rivali nordeuropei.
La Grecia è l’anello debole. Storicamente, Atene oscilla fra la chiusura su se stessa – il tentativo di creare uno Stato centralizzato frustrato dall’economia-ombra e da un fisco fallimentare – e la naturale vocazione del Paese verso l’Egeo, l’arcipelago delle antiche città-stato libere e in competizione tra loro che segna l’inizio della civilizzazione nel Mondo Antico. Lo Stato centrale greco rischia il fallimento, mentre il “regno delle isole” è del tutto inadeguato davanti al neo-espansionismo turco.
La Grecia ha assunto i contorni di un Paese allo sfascio, impoverito, al tramonto, in cui l’esasperarsi del nazionalismo e il protrarsi della crisi economica sono forieri della sovversione sociale e, in ultima analisi, della uscita di Atene dall’eurozona. Le arterie fluviali, le ferrovie e le strade che si inerpicano verso i Balcani come via di fuga sono altrettanto perigliose e non offrono scampo ai tecnocrati greci appena insediati.
In Italia e in Spagna l’isolamento è parzialmente attutito da un sistema economico resistente alle ondate di crisi iniziate nel 2007-2008. Roma e Madrid hanno sopportato il crollo della finanza americana ma sono ricascate nell’emergenza della “guerra del debito”, la versione odierna, senz’armi ma non per questo del tutto pacifica, dei sanguinosi conflitti che insanguinarono l’Europa nel XX secolo.
La debolezza dell’Europa Meridionale viene alimentata dall’arretratezza delle reti infrastrutturali: in Italia l’alta velocità si limita al Centro-Nord, mentre in Spagna copre solo brevi tratti del Paese (insieme, Italia e Spagna non fanno i treni veloci tedeschi); la rete fluviale, ad eccezione del fiume Po, è inesistente, rispetto ai grandi assi che scorrono sul Reno e il Danubio; quella autostradale in Italia si difende bene (abbiamo circa 48 autostrade), ma da qui a sognare la “Berlino-Palermo” in mezzo ci passano la Salerno-Reggio e la mastodontica impresa del Ponte sullo Stretto, rimasta sulla carta.
Riavvicinare i Paesi del Sud Europa è un obiettivo per rompere i giochi costituiti: riunirli più per mare che per terra, grazie alla comune storia mediterranea. Comunanza, appartenenza, sono parole chiave di questa operazione. Se è vero che ormai da secoli il “Mare Nostrum” ha ceduto il passo all’Atlantico e al Mare del Nord nel traffico delle merci e nel mondo degli scambi, le cosiddette “primavere arabe” scoppiate nel 2011 aprono inedite occasioni economiche, di progresso e di sviluppo del libero mercato, per i Paesi dell’Europa meridionale. Un’opportunita che i governi di queste nazioni non devono farsi scippare com’è accaduto durante il regime-change libico.
Per aggirare lo svantaggio naturale (le Alpi, eccetera) e quello infrastrutturale (reti ferroviarie e fluviali), nulla vieta che Italia, Grecia e Spagna rafforzino i rispettivi traffici navali e l’integrazione delle proprie piattaforme marittime (oltre cento porti a disposizione). Immaginare delle manovre militari congiunte nel Mediterraneo – magari in ambito NATO e nel solco tracciato dal “Gruppo di Visegrad” – sarebbe un chiaro segnale di contenimento lanciato ad Ankara sulle frontiere da rispettare (Cipro e l’Egeo), ma anche alla Germania, capofila di quell’altra Europa che intanto si è riorganizzata per fronteggiare la crisi. (Fine della prima puntata. Continua…)