Il vero guaio è se nel 2009 alle aziende italiane mancherà la “continuità”
06 Agosto 2009
Una norma contabile rischia di mandare gambe all’aria molte società italiane alle prese con la crisi economica. Meglio intervenire prima che sia troppo tardi.
Parola d’ordine continuità. Non è solo un vocabolo ricorrente del “politichese”. E’ anche un principio contabile e qualcosa di più: i bilanci, sia quelli delle PMI che quelli delle quotate o delle banche, devono essere redatti sul presupposto della prosecuzione dell’attività. Non significa che le cose non possano andare male di quando in quando. Significa che non possono andare tanto male da pregiudicare l’operatività dell’azienda. In quel caso, infatti, scatta la liquidazione coatta amministrativa.
Eppure nel corso del 2009 a numerose aziende italiane mancherà proprio la continuità. Amministratori e soci, alle prese con bilanci straordinari e ricapitalizzazioni, lo sanno bene. Ne sanno qualcosa anche i soggetti deputati al controllo contabile nelle società: sindaci, revisori, società di revisione. Quelli, cioè, chiamati ciclicamente non solo ad attestare la veridicità del bilancio ma anche a certificare che tutto fili liscio. Se così non fosse, il nostro ordinamento prevede rimedi drastici.
Non si tratta peraltro dell’ennesima particolarità di casa nostra. Il principio della continuità aziendale è infatti un caposaldo della IV direttiva contabile, quella che ha “fissato” per i Paesi membri della UE criteri contabili uniformi. E anche gli standard contabili internazionali, gli IAS, prevedono la stessa cosa.
Il 2009 si sta rivelando un anno spaventoso per il tessuto societario italiano, e si moltiplicano le preoccupazioni per quello che potrà riservare la ripresa dell’attività di settembre. Quante saranno le società incapaci di riaprire i battenti? Si può davvero ipotizzare continuità per società che ne stanno vedendo di tutti i colori? Se la crisi è davvero epocale, è legittimo che anche nella contabilità delle aziende vi sia più che una semplice “discontinuità”?
Non vi sono molte soluzioni. Le piccole società, quelle senza sindaci né revisori, potrebbero essere tentate di “pataccare” i bilanci, in modo da far risultare uno scenario meno desolante di quello effettivo. E non far così dubitare della propria continuità. Per gli altri c’è ben poco da fare. Nei casi meno drastici i revisori e i sindaci forse accetteranno di vedere continuità anche dove ve ne è pochina.
Negli altri casi – e sono tanti, troppi! – non potranno essere altrettanto accomodanti. La cosa è ovviamente nota anche alla CONSOB. Ma lì, a parte forse qualche commissario, c’è da aspettarsi poco dal presidente Cardia, attento finora solo a cercare sponde politiche e a non fare fughe in avanti.
Urge un intervento legislativo, magari sottoforma di quel “shabbat” citato così spesso dal ministro Tremonti. E urge segnalare il fenomeno in sede ECOFIN prima che sia troppo tardi. Altrimenti sarà un vero guaio.