Il vero nemico di Berlusconi è il “Moloch” di Stato che odia le riforme
24 Gennaio 2011
L’ennesima tentativo di disarcionare per via giudiziaria Silvio Berlusconi dimostra che l’ennesima cambiale emessa nel primo dopoguerra, quando il concetto di Democrazia perse significato per il suo confondersi con il socialismo, è all’incasso. Nulla di ciò cui abbiamo assistito e stiamo assistendo sarebbe difatti accaduto se si fosse corso per tempo all’aggiornamento delle istituzioni democratiche ormai provate dalla diminuita funzionalità del Parlamento e dalla cresciuta pretesa di partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche che li colpiscono direttamente. Per molto tempo è stato raccontato che i problemi trovavano risposta nel riconoscimento costituzionale di appartenenza al Popolo della Sovranità ma era una storiella Il guaio è che alcuni politici ne hanno fatto l’alibi per organizzarsi in classe e comportarsi come gabellotti: quelli che in Sicilia erano intermediari dei nobili proprietari terrieri ma non disdegnavano di operare come imprenditori autonomi.
Nel XX secolo l’Opinione Pubblica si presentò “affamata di conoscere” per rumoreggiare il dissenso, oggi invece pretende attenzione immediata. L’informatica offre infatti a ciascun individuo la possibilità di trasformarsi “in attore”, articolare il proprio giudizio e farlo pervenire a chiunque altro. L’originaria possibilità della Politica di disinteressarsi del giudizio che i cittadini si formavano sui leaders politici è così svanita perché i Padroni della Bottega possono esprimere il loro pensiero in tempo reale. Tutto ciò ha qualificato i diritti dell’Opinione Pubblica e modificato la qualità del rapporto fra Stato e Cittadini ma chi teme questo giudizio parla di rischi della manipolazione mediatica per sterilizzarlo.
I diritti dell’Opinione Pubblica si affacciano sulla scena per la sensibilità dei giuristi risorgimentali ma ottengono cittadinanza con la Costituzione repubblicana. Rimangono però tutt’ora esposti ai Poteri Forti, quelli che si celano negli interstizi della società politica e si nutrono della disattenzione della società civile.
Con cadenza costante questi poteri, rappresentanti di ampi settori dello Stato, dell’economia dell’amministrazione pubblica, si sono affacciati come contrappeso del sistema democratico rappresentativo poi, dalla seconda metà degli anni Novanta, hanno puntato ripetutamente la conduzione dello Stato. Il futuro non remoto di quella stagione, oggi, mostra però le conseguenze delle mezze esperienze politiche di Amato, Ciampi, Dini, D’Alema e Prodi. Il modello di questi Governi, non sempre sostenuti da maggioranze politiche elettorali e per lo più motivati con rappresentazioni razionali di stati emergenziali, è stato di governance autoreferenziale. perché l’esclusivo obbiettivo è stato – e continuerebbe a essere in futuro – l’oculata gestione di informazioni adattate per garantirsi il controllo del Governo.
Ma il cerchio non è ancora chiuso anche se la Sovrastruttura che aspira a gestire il Paese, pregusta la vittoria. Dopo la fiducia ottenuta meno di due mesi fa dal Governo Berlusconi, lo stile di vita del premier offre difatti un nuovo appiglio alla scorciatoia giudiziaria. Le notizie sulle feste nelle ville del presidente, vere o presunte che siano, saranno riscontrate e giudicate ma non l’esistenza, l’articolazione e la legittimità del margine di manovra con cui agisce questa Sovrastruttura.
Aldo Moro Bettino Craxi e Silvio Berlusconi hanno in comune una cosa: l’essersi scontrati contro il Moloch impalpabile che teme le riforme. Il primo è stato ucciso, il secondo è morto in esilio, il terzo è sottoposto a una attenzione giudiziaria che definire persecuzione è riduttivo: a prescindere dalla fondatezza o meno delle accuse rivoltegli.
Diverse l’esperienza, la motivazione, il progetto politico di Moro, Craxi e Berlusconi identico il muro sul quale si sono infranti i propositi politici dei primi due e sbattono da otto anni quelli del terzo: le riforme che non si possono fare e che pretendere di fare sembra equivalere a suicidio politico. Non il lodo Alfano né il processo breve ma quella federale e fiscale, della forma di Stato, del rapporto fra i poteri sovrani, degli organi costituzionali.
L’Italia è un paese con scarso senso dello Stato e senso civico: le è mancata la guerra di secessione per l’unificazione territoriale e la pacificazione per quella sociale. Il Risorgimento è stato una successione di sconfitte militari; quella di liberazione una scaramuccia senza esito riconciliativo. Poco o nulla rispetto a quanto sperimentato da Francia, Gran Bretagna e Usa per trasformare i rispettivi popoli in altrettanti Popoli. Una politica post bellica ossequiosa al compromesso ha fatto invece maturare l’Italia come paese della prebenda diventata aspettativa legittima, della scorciatoia e dell’accomodamento. Il Paese dove il compromesso è spesso presupposto di affidabilità per posti di responsabilità e le norme spesso rendono i cittadini dipendenti dagli addetti ai lavori. Questo il dramma cui il Popolo profondo d’Italia assiste impotente. Dramma nel quale Fini e Casini vorrebbero impersonare il ruolo di Lords Protettori del centrodestra ma rischiano quello di Bruto Cepione.