Il vero problema è che la Fornero non ha alcuna intenzione di toccare l’art. 18
22 Dicembre 2011
Credo che il ministro del lavoro Fornero abbia espresso le sue reali intenzioni quando, all’indomani dell’intervista al Corriere, ha precisato di non aver citato l’articolo 18 e che si trattava soltanto di un invito al dialogo sulla riforma del mercato del lavoro. Ed è proprio questo il problema: l’attuale governo “tecnico” non ha alcuna intenzione di modificare la disciplina dei licenziamenti, ossia il famigerato articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970.
La verità – scandita chiaramente dalla Fornero in quell’intervista – sta piuttosto nell’esatto contrario: estendere fin dove possibile le norme dello Statuto, articolo 18 incluso. Estenderle con gradualità, ma fino a ricomprendere tutti i contratti di lavoro e tutte le imprese, non solo quelle con più di 15 dipendenti né con esclusiva al contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, come stabilisce oggi la normativa. Ci sono almeno tre indizi ed una prova che fanno immaginare che il governo stia lavorando ad un progetto di riforma complessiva del mercato del lavoro (ossia non indirizzato esclusivamente alla materia dei “licenziamenti”), finalizzato a intensificare le tutele e le garanzie di protezione a favore dei lavoratori che ne sono oggi sprovvisti.
Primo indizio: prima dell’intervista, a preannunciare queste misure c’è stato addirittura un comunicato stampa del ministero del lavoro in cui si è riferito della conferenza del ministro Fornero di illustrazione dell’impianto della riforma delle pensioni, "considerata" – ecco il punto centrale – «il primo importante tassello di una riforma più completa che riguarderà nel prossimo futuro anche il mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali» (il comunicato è del 6 dicembre e fa seguito al consiglio dei ministri del 4 dicembre).
Secondo indizio è il discorso programmatico del premier Mario Monti al Senato del 17 novembre: l’articolo 18, in quell’occasione, non venne mai espressamente citato. Monti parlò anche in tal caso di “riforma organica” del “mercato del lavoro” individuando tre temi principali di intervento. Primo tema le istituzioni del mercato del lavoro “per allontanarci da un mercato duale dove alcuni sono fin troppo tutelati mentre altri sono totalmente privi di tutele e assicurazioni in caso di disoccupazione”.
Il riferimento sembra essere alla dicotomia esistente tra i rapporti di lavoro dipendenti (con pieno di tutele) e quelli parasubordinati o autonomi (con molte meno tutele). Secondo tema: spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro. Terzo tema: colmare il fossato tra le garanzie e i vantaggi offerti dal ricorso ai contratti a termine e ai contratti a tempo indeterminato, superando i rischi e le incertezze che scoraggiano le imprese a ricorrere a questi ultimi. Qui, a dire il vero, si intravede un certo riferimento al più intoccabile dei diritti, cioè all’articolo 18: ma verso quale direzione? Verso un ridimensionamento o verso una sua estensione applicativa?
Terzo indizio, infine, è la presenza di un viceministro, Michael Martone (Fornero è superesperta in previdenza), propenso a un’idea di riforma organica del mercato del lavoro (basta dare uno sguardo ai suoi scritti). Un’idea di riforma con «rilevantissimi punti in comune con quello a cui ho lavorato io negli ultimi quindici anni», ha detto Pietro Ichino alla Stampa del 30 novembre, e "che si ispira al disegno di legge che ho presentato due anni fa con altri 54 senatori del Pd". Un disegno di legge, ha aggiunto sempre il senatore del Pd, "capace davvero di applicarsi a tutti i nuovi rapporti di lavoro: tutti a tempo indeterminato, a tutti le protezioni essenziali secondo i migliori standard internazionali, ma nessuno inamovibile".
La prova, infine, di un progetto di riforma finalizzato ad intensificare le tutele è fornita da quanto è successo a proposito delle pensioni. Per garantire il diritto ai lavoratori ad esercitare la possibilità di rimanere al lavoro fino a 70 anni per migliorare l’assegno pensionistico, l’applicazione dell’articolo 18 è stato esteso fino a quella età, di fatto facendo ricadere solo sulle imprese il costo di una misura (la flessibilità) a carattere sociale.
Sulla base di questi indizi, si può dunque immaginare il progetto di riforma complessiva del mercato del lavoro a cui sta lavorando il governo: è l’idea del “contratto unico”. Ecco perché credo al ministro Fornero quando dice di non aver mai citato l’articolo 18 e che ha soltanto rivolto l’invito al dialogo sulla riforma del mercato del lavoro. Perché Fornero, nell’intervista, è stata chiarissima nel delineare il progetto di riforma: "penso che un ciclo di vita che funzioni è quello che permetta ai giovani di entrare nel mercato del lavoro ‘con un contratto vero, non precario’".
Aggiungendo «ma un contratto che riconosca che sei all’inizio della vita lavorativa e quindi hai bisogno di formazione, e dove parti con una retribuzione bassa che poi salirà in relazione alla produttività. Insomma», ha concluso il ministro, "io vedrei bene un ‘contratto unico’, che includa le persone oggi escluse e che però ‘forse’ non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto".
Se il ministro “vede bene un contratto unico” è probabile che stia guardando alla proposta Ichino (il “contratto di transizione”) o a quella di Boeri-Garibaldi (che si chiama proprio “contratto unico”), entrambe depositate in parlamento in due distinti disegni di legge. Le proposte si accomunano su un elemento caratterizzante: anziché ridurre la tenaglia della reintegrazione (l’articolo 18) ne estende il campo di applicazione.
Sono proposte che non affrontano con dovuta lena riformatrice il problema dei licenziamenti, anzi paradossalmente finiscono per togliere appeal al contratto di lavoro standard (il contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato), lasciando la reintegrazione in mano ai giudici e, anziché dare una regolazione alla tutela di stabilità (l’articolo 18), ne estende a dismisura la portata applicativa, di fatto includendovi anche i rapporti di collaborazione e le imprese con meno di 15 dipendenti.
Per ora, comunque, ancora nulla è definito; non c’è, in altre parole, una proposta effettiva da parte del governo e probabilmente non arriverà prima del prossimo anno. Il gran parlare, urlare e vociare di Sindacalisti e Politici, dunque, fa solamente rumore e serve a posizionare le rispettive schiere.
Come ha detto Gaetano Quagliariello, sul lavoro è "bene aspettare il governo alla prova dei fatti", consapevoli di non rinunciare "a batterci per una rivoluzione culturale, prima ancora che economica o giuridica, che riporti la persona al centro delle scelte politiche e sostituisca la nozione di ‘diritto del lavoro’ con la concezione di un ‘diritto del mercato del lavoro per un diritto al lavoro’ che dia piena attuazione al senso profondo del dettato di cui all’articolo 4 della nostra Costituzione".
C’è bisogno – anzi è urgente – modernizzare il diritto del lavoro, spostando l’oggetto di attenzione dal rapporto di lavoro al mercato del lavoro: tutto il lavoro, non soltanto quello alle dipendenze altrui, merita protezione e tutela da parte dello Stato (non da parte delle imprese). E poi, al pari se non addirittura più di coloro che sono occupati (insiders), meritano protezione disoccupati e inoccupati (outsiders).
Il diritto del lavoro, oggi, ruota attorno a un asse centrale: il posto di lavoro. Così la difesa del lavoro coincide con la difesa del posto, come se l’occupazione possibile fosse solo e soltanto quella raggiunta in un determinato momento. L’espressione massima di tutela del diritto del lavoro è proprio la protezione contro i licenziamenti: l’articolo 18, appunto. Ma è anche l’espressione di un sistema iniquo e discriminante – e proprio sulle tutele della persona – se osservato dall’angolatura di chi ancora non è entrato nel mondo del lavoro, perché una stabilità senza limiti e senza deroghe è denuncia di un ordinamento giuridico che riconosce beneficiari di un diritto (quello del lavoro) soltanto una parte dei cittadini: gli occupati alle dipendenze altrui.
Modernizzare, allora, è ripensare un diritto del lavoro per e sul mercato del lavoro. Per il mercato del lavoro: non a protezione del posto (contratto subordinato), ma del lavoro in quanto viatico per la realizzazione dei valori umani, in quanto cioè esigenza primaria della persona. Sul mercato del lavoro: fautore di una rete di tutele per tutti i lavoratori, per quelli occupati e per quelli ancora senza occupazione, regolamentando e governando anche la fase propedeutica all’instaurazione di un rapporto di lavoro (di qualunque tipo), la fase cioè dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, e soprattutto quella successiva alla risoluzione del rapporto.