Il voto in Grecia dimostra che l’austerità favorisce solo le estreme
07 Maggio 2012
All’indomani delle elezioni in Francia e Grecia, l’Europa trema. Non solo per la reazione dei mercati, tutti in perdita nell’attesa di capire quale direzione prenderanno i nuovi governi usciti dalle urne greche e francesi. Nel caso della Grecia, le elezioni sono diventate il banco di giudizio delle politiche di austerità, invocate da Bce, Fmi e Ue, come unica soluzione possibile alla crisi europea: e il giudizio degli elettori è stato spietato.
I due partiti greci che sostengono l’austerity e la necessità per la penisola ellenica di restare in Europa, Nea Dimokratia e Pasok, si sono trovati a fare i conti con una frammentazione politica senza precedenti. Parliamo di due partiti che complessivamente, nelle elezioni precedenti, hanno sempre incamerato almeno il 79% dei voti: con i risultati di oggi, non si arriva al 40% (Nea Dimoktratia ha preso il 18,36% dei voti, Pasok il 13,18%).
Data l’attuale situazione, la prospettiva più realistica per la creazione di un governo con una parvenza di stabilità è la collaborazione di Nea Dimoktratia e di Pasok. Una ‘convivenza’ che tuttavia non assicura il successo, considerando che le due forze politiche congiunte arriverebbero ad avere 149 posti su 300 nel Parlamento greco.
La creazione di un nuovo esecutivo di Grecia non sarà un compito facile per Antonis Samaras, leader del partito Nea Dimokratia, che oggi riceverà ufficialmente l’incarico dal Presidente della Repubblica greco, Karolos Papoulias. Qualora fosse impossibile per Samaras costituire un governo dotato di una maggioranza parlamentare il più omogenea possibile nei prossimi tre giorni, la responsabilità di formare un nuovo esecutivo passerà direttamente nelle mani di Alexis Tsipras, leader del secondo movimento vincitore di queste elezioni, Syriza, il cartello politico della sinistra radicale greca che si è affermato alle spalle di Nea Dimoktratia con il 16,77% dei voti.
Ad aggravare l’instabilità, la forte presenza di componenti estremiste di destra e di sinistra nei partiti che avranno un posto in Parlamento: dai neonazisti di Chrysi Avgi, che hanno preso quasi il 7% dei voti con un programma politico che propone di minare i confini della Grecia, cacciare gli immigrati clandestini e reintrodurre la pena di morte per gli spacciatori, ai comunisti del KKE, quarta forza politica con l’8,47% delle preferenze. Due blocchi dichiaratamente contrari alla politica di austerità e alla permanenza a ogni condizione della Grecia in Europa.
“Serve un New Deal per l’Europa. Altrimenti sarà la fine”. Questa l’opinione dell’ex premier greco George Papandreou, che nonostante l’esito delle elezioni, non vede un’imminente rischio di uscita dalla zona euro per la Grecia. Secondo Papandreou, il voto non è contro l’Europa, ma “è un voto pro o contro l’austerità”, frutto di elezioni anticipate che “si sarebbero potute benissimo evitare”.
Dalle elezioni di Grecia, la sconfitta più cocente che emerge è quella delle politiche d’austerità della troika e dell’illusione tecnocratica: la politica di rigidità non paga, e Nea Dimoktratia e Pasok ne hanno sostenuto il prezzo politico, perdendo il consenso di settori significativi del proprio elettorato tradizionale. Risultati, questi, che molto dicono sugli esiti delle operazioni di sospensione della democrazia portata in dote dal mito tecnocratico europeo. Lezione che rischia di valere anche per l’Italia del premier Mario Monti.