Ilva. Si dimette il Cda, i giudici contro il capitalismo italiano
25 Maggio 2013
di redazione
Ilva. Eccola la magistratura italiana, il potere giudiziario che interviene nella politica economica dell’Italia. I vertici dell’azienda siderurgica, non i proprieteri, i Riva in attesa di giudizio, ma il Cda rassegna le dimissioni dopo il provvedimento di sequestro emesso dal Gip di Taranto e il maxisequestro straordinario di miliardi di euro. Un colpo basso al capitalismo manifatturiero italiano. Secondo il Gip: "L’azienda ha ottenuto negli anni un indebito vantaggio economico a scapito di popolazione e ambiente". I legali dell’azienda pronti all’impugnazione dell’atto. I Riva sono accusati di aver fatto sparire i soldi per la ristrutturazione nei paradisi fiscali ma l’insistenza dei giudici alla fine richia di mandare a gambe all’aria migliaia di posti di posti di lavoro. Lunedì il ministro Zanonato incontrerà per fare il punto l’ad dimissionario Enrico Bondi. Si dimette anche il presidente Ferrante.
Alcune sigle sindacali come Uilm chiedono che "il governo assuma direttamente la gestione", come dire una nazionalizzazione dell’Ilva. Secondo Fim Cisl, "Con le dimissioni del Cda dell’Ilva, la situazione che riguarda il gruppo industriale rischia di finire allo sbando totale". Il governatore della Puglia, Nichi Vendola, chiede un vertice strardinario a Palazzo Chigi, ”Rivolgo un appello al Presidente del Consiglio Enrico Letta affinche’ convochi, gia’ nella giornata di lunedi’ prossimo, un incontro a Palazzo Chigi di tutti i protagonisti sociali e istituzionali della vertenza Ilva" e parla di un un clima di "paura e tensione". Secondo il presidente della Commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, "Gli ulteriori sviluppi della vicenda giudiziaria che da tempo investe il gruppo siderurgico ILVA non sono nè isolati nè casuali. Essi si inseriscono in un clima di persistente pregiudizio ideologico nei confronti dell’ impresa nel quale sono ricorrenti le azioni giudiziarie che producono danni certi ed immediati – a fronte di esiti incerti – all’intera economia e società nazionale".
Secondo Sacconi, "L’Italia rischia di diventare un Paese diffusamente paralizzato – o quantomeno pesantemente rallentato – dalla paura di agire e di decidere nella dimensione pubblica come in quella privata a causa della imponderabilità del potere giudiziario. Le relazioni istituzionali, commerciali, di lavoro sono irrigidite e rattrappite dal dominio dell’incertezza. E cio’ pesa ancor più sugli investitori esteri, portati a considerare il nostro come un Paese ove tutto può accadere". Il senatore del Pdl prova inquadrare il caso Ilva in un contesto storico ed economico più vasto: "Non a caso il declino italiano si e’ prodotto a partire da Tangentopoli per i modi estensivi, mediatici e temporalmente indefiniti con cui si sono svolti i procedimenti giudiziari. Non si tratta di sottovalutare la necessita’ del principio di legalità ma di volerne la sua effettiva affermazione attraverso criteri certi, tempestivi, sobri. I partiti, il Governo e le organizzazioni sociali della rappresentanza degli imprenditori e dei lavoratori devono responsabilmente affrontare questo nodo se vogliono crescita e lavoro. A meno che la paura…".