Immigrati: il governo ci mette la faccia, l’opposizione parla d’altro
01 Aprile 2011
La frontiera sud dell’Italia è un confine di mare: non è possibile respingere chi arriva dopo ore o giorni di navigazione con il rischio di provocare naufragi e vittime. Non si può fare come i francesi che bloccano gli immigrati a Ventimiglia e se ne lavano le mani.
Gli immigrati che arrivano Lampedusa non vogliono a nessun costo tornare in Tunisia: hanno affrontato un viaggio pericoloso ed estenuante su cui hanno investito buona parte dei loro risparmi e ora sperano di rifarsi una vita in Europa.
L’Europa non ne vuole sapere di loro. In particolar modo la Francia, di cui il paese era una colonia fino al 1956, ha già una forte immigrazione tunisina e si oppone a tutte le richieste di ricongiungimento familiare. Ma anche gli altri paesi della Ue considerano il principio del “burden sharing” come una scelta e non un obbligo e finora nessuno ha aperto i suoi confini.
La Tunisia non li rivuole in dietro e per molti motivi. Il nuovo governo di Beji Caid el Sebsi è debolissimo e teme rivolte e dimostrazioni fomentate dagli immigrati costretti a tornare. Negli incontri avuti con Maroni e Frattini il governo di Tunisi ha escluso categoricamente rimpatri di massa e ha accettato – arbitrariamente – di accogliere solo quelli che ne fanno espressamente richiesta: finora nessuno. Tunisi spera anche di portare l’Italia al punto di rottura per ottenere migliori vantaggi economici e politici dalle trattative.
Gli immigrati che sono a Lampedusa non vogliono restarvi a nessun costo. Protestano ai microfoni dei tg e dei talk show dopo accurati casting da parte delle Ong che operano sull’isola. Parlano di speranze deluse, dell’ “Italia che fa schifo”, del rancio che ritarda, delle condizioni disumane in cui sono “costretti” a vivere. Ovviamente anche i lapedusiani sono allo stremo e vorrebbero vederli partire.
Compreso che nessun’altro paese d’Europa fornito di frontiere di filo spinato e fucili spianati è pronto ad accoglierli, gli immigrati di Lampedusa vogliono ormai essere portati in qualsiasi centro di accoglienza italiano da cui fuggire al più presto e arrangiarsi come capita. In Italia il sistema dei controlli su territorio è così lasco e farraginoso che hanno buone speranza di non farsi riprendere mai più.
Le regioni italiane non li vogliono. Quasi tutte giocano sull’ambiguità tra profughi e immigrati. Incontrano il ministro Maroni, fanno accordi, poi davanti alle telecamere dichiarano che il patto era ricevere “profughi non clandestini”, come ha detto ieri il governatore della Toscana, Vasco Errani. Ma di profughi ce n’è punto o poco, il problema sono tutti gli altri. D’altro canto in Italia esiste una legge – seppure controversa – che definisce reato l’immigrazione clandestina e non è strano che qualcuno – magari in modo un po’ colorito – chieda di applicarla.
L’opposizione dice: siamo la settima potenza mondiale, con sessanta milioni di abitanti, come è possibile andare in crisi per poche migliaia di “migranti”? Le imprese hanno bisogno di mano d’opera, i ragazzi italiani rifiutano i lavori duri , ecco dunque la soluzione. Ma ci sono anche centinaia di migliaia di persone in giro per il mondo e nella stessa Tunisia che hanno da tempo fatto la loro brava richiesta di permesso di soggiorno, che aspettano di entrare in Italia regolarmente secondo il meccanismo del “decreto flussi”, è giusto che questi nuovi arrivati passino avanti sulla spinta dell’emergenza?
Anche messi in fila i problemi restano tali. Si configura un’inestricabile crisi nazionale. Il governo fa la sua parte, qualche volta sbaglia, ma ci mette la faccia e ci rischia consenso. L’opposizione gonfia il petto per aver respinto il “processo verbale”, lancia monetine e litiga sull’Aventino. Altro non risulta.