Immigrazione e bioetica: lo strappo di Fini scuote il Pdl e irrita il Vaticano
18 Maggio 2009
Effetto Fini, effetto tsunami. In un colpo solo il presidente della Camera dispensa moniti e sollecitazioni a maggioranza e governo su immigrazione, cittadinanza e bioetica.
L’occasione è la “lezione” agli studenti pugliesi ma la portata delle sue nuove esternazioni assume, gioco-forza, connotazioni politiche ben precise. Che segnalano l’ennesimo distinguo nei confronti del suo partito, il Pdl (di cui è co-fondatore) e incassano l’irritazione del Vaticano a proposito delle questioni eticamente sensibili.
Fini si inserisce nella polemica tra Onu e Italia sui respingimenti dei clandestini. Dopochè i ministri Frattini e La Russa hanno ribadito la linea del governo e la compatezza dell’azione nel rispetto delle regole internazionali e replicato alle nuove critiche che piovono dall’Alto Commissariato per i rifugiati (Unchr), lui invita “tutti a non cadere nella tentazione di dare vita a un confronto finalizzato unicamente al voto per il Parlamento europeo”. Il messaggio è per il centrodestra, come a dire: non si può fare propaganda elettorale sulle spalle degli immigrati.
Ma c’è un paradosso piuttosto evidente: la logica finiana sulla propaganda elettorale evidentemente vale a senso unico, perché un istante dopo, parlando di bioetica l’inquilino di Montecitorio dice che il Parlamento “deve fare leggi non orientate da precetti di tipo religioso” e si augura che un dibattito così complesso, venga “affrontato senza gli eccessi propagandistici che ci sono stati da entrambe le parti, perché queste sono questioni nella quali il dubbio prevale sulle certezze”. A poche settimane dal voto per europee e amministrative certe affermazioni non sembrano poi tanto distanti dalla propaganda che, invece, il presidente della Camera invita con solerzia ad evitare. Non solo: se si pensa che dopo il disco verde del Senato il dossier sul testamento biologico sta per approdare in Aula, si capisce subito che aria tira (e tirerà) nei piani alti della Camera.
La chiamata in causa a proposito di bioetica (seppure indiretta), non piace al Vaticano. Monsignor Sgreccia (presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita) replica a Fini sottolineando che le questioni sulle quali i cattolici intendono dare il loro contributo non possono essere considerate “precetti religiosi; sono temi che riguardano i diritti fondamentali dell’uomo, come il diritto e il rispetto della vita; diritti che riguardano l’unità del matrimonio e della famiglia”. Non si tratta di precetti religiosi – ribadisce l’alto prelato – bensì di “temi che fanno parte della natura umana “difendibili con la ragione e iscritti anche nella Costituzione”.
Sul piano politico, le “mosse” finiane diventano sempre più difficili da digerire nel Pdl. Lo sono già dalle parti della Lega. Come dimostrano i richiami che proprio all’ex leader di An rivolgono da un lato Bondi (uno dei tre coordinatori del partito unico), dall’altro Calderoli ai quali proprio ieri si sono aggiunti quelli di Lupi, Roccella e Quagliariello che si sono detti "stupiti" dalle parole di Fini sui temi della bioetica.
Il ministro dei Beni Culturali su Qn gli consiglia di partecipare “attivamente alla formulazione dell’identità e della linea politica del nuovo partito” anziché privilegiare una “svolta personale”. Registra positivamente il contributo a fare del Pdl un partito plurale, aperto al confronto delle idee e tuttavia mette in guardia sui problemi che una tendenza così marcata può arrecare soprattutto perché il rischio – scandisce il triumviro del Pdl – è “quello di abbracciare posizioni distanti dalle nostre”, oltretutto in un momento in cui c’è bisogno di scelte chiare che discendono da una precisa identità culturale, sia pur perseguita con un dibattito ampio.
Calderoli ci va giù netto: Fini mira ad essere “in futuro il numero uno, per questo ha deciso di essere l’uomo del grigio”, sentenzia in un’intervista a Il Giornale. Poi l’affondo: estremizzando il ruolo bipartisan di terza carica dello Stato “sta creando disorientamento nell’elettorato”. Insomma, il pericolo maggiore da scongiurare in piena campagna elettorale.
Il terreno sul quale il presidente della Camera, da tempo, ha aperto un “contenzioso” col suo partito e col Carroccio resta quello dell’immigrazione e dell’integrazione. Lo si è visto con le reiterate prese di posizione sul ddl sicurezza ed è facile ritenere che lo si vedrà pure su un altro controverso capitolo collegato allo stesso tema: la cittadinanza agli immigrati regolari quindi il diritto di voto attivo e passivo. In Commissione Affari Costituzionali sta per arrivare la proposta di legge di Sarubbi (Pd) che propone di portare da dieci a cinque gli anni per ottenere il riconoscimento. Il testo sarebbe stato sottoposto anche ad alcuni parlamentari del Pdl e in particolare a due deputati molto vicini al presidente della Camera: Moffa e Granata.
C’è di più, si dice che lo stesso Fini avrebbe dato loro indicazioni di seguire con attenzione l’iter della proposta, magari aggiungendo una serie di integrazioni ad hoc. Attualmente, sono cinque i testi presentati nella stessa Commissione, ciascuno dei quali prende in esame alcuni aspetti della cittadinanza (prima di incardinarle nell’iter dei lavori è necessario arrivare ad un testo unico condiviso e finora la sintesi non c’è stata), ma è chiaro che lo spartiacque – politico – sta proprio in quella a firma Pd sui tempi della cittadinanza che potrebbe ricevere il sostegno di pezzi della maggioranza, specie nelle file degli ex aenne.
Tra le proposte di legge già depositate c’è quella di Adriano Paroli (Pdl), deputato e sindaco di Brescia. Non condivide l’idea gradita a Fini perché “la cittadinanza italiana non deve essere il punto di partenza bensì il punto di arrivo di un processo di integrazione che muove dalla totale adesione dello straniero che vive e lavora regolarmente qui ai valori e alle regole del nostro Paese. La cittadinanza va riempita di contenuti, di diritti ma soprattutto di doveri su vari fronti, altrimenti diventa mera propaganda secondo l’ormai consolidato schema del politicamente corretto”, spiega. Paroli dunque, chiede non solo il mantenimento del periodo di dieci anni per ottenere la cittadinanza ma anche più rigore nella valutazione degli elementi che portano al riconoscimento.
Non a caso propone che l’acquisizione o concessione della cittadinanza per rapporti di parentela sia tale fino al secondo grado e senza soluzioni di continuità, la conoscenza della lingua italiana parlata e scritta come condizione vincolante, l’esclusione della doppia cittadinanza per i cittadini non comunitari, perché “è doveroso che se un pakistano ottiene la cittadinanza italiana rinunci a quella del suo paese d’origine, altrimenti non si capisce il motivo della richiesta se non quello di poter accedere ai diritti che lo status riconosce e assegna a ogni italiano”.
Altro punto della proposta riguarda la non trasmissibilità della cittadinanza acquisita per matrimonio “per evitare che ci si sposi con un italiano o un’italiana per ottenere il riconoscimento che oggi resta anche dopo la separazione, consentendo a uno straniero non comunitario già cittadino italiano di poterlo utilizzare per agevolare lo stesso status nei confronti del compagno o della compagna col quale ha deciso di unirsi in matrimonio”.
I nodi da sciogliere dunque sono molti. E tutti nelle file della maggioranza. Uno su tutti: Fini da che parte sta? E quale sarà la prossima mossa?