
Immunità: il Pdl punta al dialogo con la sinistra moderata e il Pd si spacca

22 Febbraio 2011
Si scrive ‘immunità parlamentare’ ma si legge ‘aria di botte (politiche) dentro al Pd’. E’ da ieri infatti che il ddl costituzionale sul ripristino dell’immunità a firma dei senatori Franca Chiaromonte e Luigi Compagna, la prima del Pd e il secondo del Pdl, ha incendiato il dibattito politico all’interno del primo partito d’opposizione con l’apertura di due fronti opposti: quelli a favore della modifica dell’articolo 68 della Costituzione (ovvero i firmatari del ddl) e gli altri che, invece, di metter mano alla Carta non ne vogliono sapere.
Il sasso nello stagno lo ha gettato per primo Luciano Violante che, su Affaritaliani.it, ha aperto all’ipotesi di reintrodurre l’immunità parlamentare pur precisando che un dialogo in merito si può affrontare solo "in un clima diverso". Ma i vertici del Pd hanno subito tirato il freno a mano: se da un lato il capogruppo di Montecitorio Dario Franceschini ha detto che i democratici diranno no "senza ambiguità" alla reintroduzione dell’istituto, perché convinto che il provvedimento sia utile solo a bloccare i processi di Berlusconi, dall’altro il leader Pierluigi Bersani ha ribadito che la posizione del partito "è assolutamente contraria". E considerando che la senatrice Chiaramonte non ha "nessuna intenzione di ritirare il ddl", allora la miscela è esplosiva.
Tecnicamente il provvedimento in materia di immunità, che è stato depositato il 17 dicembre 2009 e che ora è in prima lettura a Palazzo Madama, mira alla sospensione dei procedimenti giudiziari nei confronti dei membri del Parlamento per la sola durata del loro mandato istituzionale. Un testo che è stato sottoscritto anche da altri due esponenti del Pd: Enrico Morando e Silvio Emilio Sircana, ex portavoce di Romano Prodi. Proprio quest’ultimo si è detto convinto che la modifica dell’articolo 68 è "una proposta utile" per dare una scossa alla giustizia e sbloccare l’attività legislativa delle Camere attualmente impantanata nel fango dei provvedimenti giudiziari a carico del Presidente del Consiglio. Una posizione subito mitigata dalla volontà del senatore di far prevalere la linea del partito: "Per me prevarrà sempre la posizione del partito sulle mie convinzioni personali", ha detto.
Secondo la prima firmataria del ddl in questione, il testo non ha niente a che vedere con le vicende di attualità ma "nasce da un’iniziativa personale e trasversale" e dalla preoccupazione di "riparare il vulnus democratico dello scontro decennale in atto tra politica e magistratura e che si basa sulla preoccupazione che ebbero i padri costituenti quando scrissero l’articolo 68 della Costituzione". Parole che hanno scatenato la reazione del capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto che ha accusato il Pd di essere in contraddizione: "L’immunità era nella Costituzione e serviva a bilanciare il rapporto complesso tra le garanzie di una magistratura indipendente e le garanzie dei parlamentari. Si tratta di ripristinarla. La sinistra ufficiale si dice contraria, anche rispetto alla posizione di esponenti come la senatrice Chiaromente e Sircana. Si apre dunque – ha concluso Cicchitto – una contraddizione tra chi è forzatamente giustizialista e chi invece è garantista".
Che quello sull’immunità parlamentare sia uno scontro tra due fronti politicamente trasversali è ormai chiaro. Una bagarre tra i promotori del rigore istituzionale, convinti quindi della necessità di una più netta separazione tra poteri dello Stato (da una parte la magistratura, dall’altra il Parlamento e le sue prerogative), e i sostenitori dell’abolizione di un istituto che ritengono essere un inutile privilegio concesso ai parlamentari. Fatte queste considerazioni ci sarebbe da chiedersi perché Luciano Violante, che fino a poco tempo fa era ritenuto il primo fra i giustizialisti, ha deciso di cambiare rotta e calarsi nel ruolo dell’uomo di sinistra che combatte lo strapotere dei magistrati. Secondo rumors di Palazzo la spiegazione risiederebbe nel suo desiderio di guadagnare consensi nel centrodestra e cominciare così a spianarsi la strada che conduce al Quirinale. Altri, invece, sostengono che le divergenze tra poteri dello Stato sono ormai arrivate a un vicolo cieco e che solo con l’appianamento del conflitto politico è possibile uscire dal pantano.
Per il vice presidente dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello lo stop di Bersani sul provvedimento è il segnale che il leader democratico è saldamente ancorato alla zavorra dell’antiberlusconismo. "Bersani – ha detto – non si rende conto che se si riuscisse a far fuori Berlusconi, lo stesso trattamento verrebbe riservato il giorno dopo a chi dovesse prendere il suo posto, senza tanti complimenti né distinzioni politiche. Se dunque è dalle regole che si vuole partire, come sostiene il segretario del Pd, regolare il rapporto tra giustizia e politica è una priorità che prescinde da ogni contingenza". Per Quagliariello l’immunità parlamentare non è un dogma e si è detto disposto a "immaginare soluzioni alternative" al fine di non liquidare un serio problema la cui soluzione sarebbe d’aiuto a tutto il Paese, compreso il Pd. Su posizioni totalmente diverse l’Idv con il leader Antonio Di Pietro che è tornato ad attribuire a Berlusconi l’intenzione di varare provvedimenti ad personam. Altolà anche dai finiani che con Fabio Granata hanno ribadito la loro "totale contrarietà" al provvedimento.
Nonostante le contrapposizioni politiche fra diversi schieramenti e i diktat di Bersani e Franceschini, la linea del Pdl sembra essere quella di un dialogo con l’area moderata del centrosinistra. Solo con un dialogo costruttivo infatti, l’esecutivo può sperare di varare una riforma costituzionale che per essere approvata ha bisogno di una maggioranza dei due terzi dei voti di Camera e Senato (e dunque di un’ampia condivisione) ed evitare così un referendum confermativo.