Imperi. Come nascono, a che servono, perché finiscono
12 Settembre 2010
di Daniela Coli
Niall Ferguson sarebbe piaciuto a Croce, perché è uno storico-filosofo: affronta grandi problemi, offre risposte e proposte originali. Non passa la vita negli archivi, per risolvere dettagli di microstoria événementielle: affronta di petto problemi come il declino dell’impero americano o la crisi finanziaria americana, dando giudizi politici e facendo anche previsioni. A 46 anni è uno dei più importanti storici britannici, un intellettuale di statura internazionale, insegna a Harvard, interviene in tv, tutt’altro che conformista, anzi un revisionista. Uno fuori dagli schemi, che da noi avrebbe avuto vita dura e forse non avrebbe mai ottenuto un posto all’università. Questo è il bello della Gran Bretagna, che è certamente in crisi come dice Dario Di Vico sul Corriere – ed è una crisi seria – ma ha tanti anticorpi, tanta spregiudicatezza intellettuale, capacità di cambiare velocemente, che noi al confronto, sempre alle prese coi nostri problemi storici, sembriamo l’eterna fidanzata incerta, come la satira tedesca si diverte a rappresentare l’Italia.
Storico dell’economia e della finanza, Ferguson venne alla ribalta nel 1998 con un libro sulla prima guerra mondiale, dove demoliva i dieci grandi miti della Grande Guerra, a cominciare da quello della Germania militarista prima del ’14: negò che la Germania minacciasse la Gran Bretagna e attribuì queste paure british a irrazionali pregiudizi antitedeschi. Per Ferguson, se l’Inghilterra si fosse tenuta fuori dalla Grande Guerra, la Germania avrebbe vinto nel ’14 e l’Unione Europea sarebbe nata allora. La Germania sarebbe rimasta una potenza imperiale democratica, pacifica e ricca, non vi sarebbe stato il comunismo, né il nazismo, mentre la Gran Bretagna sarebbe rimasta un impero e la potenza finanziaria del mondo. Il problema dell’impero è al centro dei pensieri di Ferguson, ammiratore dell’impero britannico, convinto che l’impero sia l’unica istituzione politica in grado di portare ordine al mondo.
Per lo storico di Glasgow gli imperi portano ordine, non libertà, mentre la fine di essi genera caos e proprio un’età tecnologica come la nostra ha bisogno di imperi. In Colossus.The Rise and Fall of the American Empire, del 2004, affronta il declino dell’impero americano: gli Stati Uniti sono un Golia, che non accetta di essere definito un impero, ma lo è a tutti gli effetti, anche se sta vivendo la fase finale. La vera svolta storica per Ferguson non è stata il 9/11, la Caduta del Muro di Berlino, ma l’11/9, l’attacco al WTC, che dimostrò la sostanziale debolezza americana. Ferguson ha protestato più volte per l’esiguità delle truppe inviate dagli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan, ricordando come i migliori esempi di colonizzazione americana siano stati la Germania ovest e il Giappone, dove gli americani si occuparono della ripresa e investirono capitali per paura dell’impero sovietico. L’occupazione della Germania e del Giappone finì formalmente nel 1952 e nel 1955, ma truppe americane rimasero in Germania fino al 2001, mentre in Giappone sono ancora presenti a Okinawa. Dal ’53 in Germania furono inoltre schierate sei divisioni americane e altre nove come truppe Nato, di cui faceva parte anche la Germania ovest. In Medio Oriente, invece, gli Stati Uniti cominciarono a lavorare a danno dei britannici negli anni ’30 con Kim Philby per fare diventare i sovrani del Sud Arabia satelliti americani e così fecero anche in Persia, Iraq e Kwait.
Qualcosa però non ha funzionato. L’impero americano è diventato “Chimerica” e questa è per l’autore dello splendido The Ascent of Money. A Financial History of the World (2008) la ragione principale del declino americano. Il rapporto con la Cina si è rivelato un disastro per gli americani. Cina e America sembravano una coppia perfetta. I cimericani dell’Est risparmiavano, quelli dell’Ovest spendevano. Più i cinesi erano disposti a fare prestiti, più gli americani erano felici di prendere prestiti, così il mercato dei mutui americani si trovò ad avere una tale liquidità nel 2006 da accendere mutui per il 100 per cento di un immobile senza la garanzia di un reddito fisso, né di un lavoro. Da qui l’esplosione della bolla nel 2007. Al contrario, l’ascesa imperiale dell’Inghilterra nel ‘600 si fondò sulla capacità di prendere in prestito somme maggiori a un tasso minore dei suoi rivali e sulla cura dei bilanci pubblici da parte dei governi per mantenere credibilità. L’idea americana di vincere la crisi del ’29 e di evitare la rivoluzione facendo diventare l’americano medio proprietario di casa, creò la pratica di trasformare i mutui immobiliari in titoli venduti in tutto il mondo: un affare che adesso è un incubo.
Per Ferguson non è la tecnologia a produrre sviluppo, ma la finanza, che ha sempre avuto spettacolari crolli e boom. Furono le banche e il mercato dei bond a procurare la base materiale dello splendore del Rinascimento italiano. Dietro ogni grande fenomeno storico, per Ferguson, c’è un segreto finanziario. Per questo scozzese autore di due volumi sui Rothschild, il denaro è il motore della storia. Il Rinascimento creò un tale boom del mercato delle arti e dell’architettura, perché i Medici applicarono la matematica orientale al denaro. I Medici furono tra i primi a scoprire come stabilire il prezzo del denaro. Il sistema monetario fino allora era rimasto fermo a quello dell’impero romano: i prezzi erano quotati in termini di denaro d’argento anche ai tempi di Carlo Magno. Dopo Carlo Magno, vi fu una grande crisi dell’argento in Europa: si cercò di sostituire il denaro col pepe o di scambiare schiavi per argento. Per reperire argento si tentò anche la via della crociata nel mondo islamico, ma le crociate erano costose, non risolvevano il problema e tutti i governi medievali e moderni fallirono a trovare una soluzione al problema, chiamato dagli economisti del piccolo cambio. Era difficile stabilire relazioni tra monete di metallo diverso. I conquistadores risolsero momentaneamente il problema, trasportando tonnellate d’argento in Spagna, ma l’abbondanza di argento provocò l’ aumento dei prezzi.
Gli orientali avevano creato nell’antichità un sofisticato sistema di debiti, crediti, tassi, prestiti e avevano capito che il denaro non è un oggetto, ma una questione di fiducia, qualcosa di virtuale, come quando noi paghiamo con le carte di credito. A scoprire la finanza moderna fu un giovane matematico, Leonardo Fibonacci di Pisa. Figlio di mercanti, soggiornò in Algeria, viaggiò in Oriente, s’immerse nel metodo indiano della matematica e trovò una combinazione matematica araba-indiana, la famosa sequenza Fibonacci, che rivoluzionò la finanza europea. I Medici s’interessarono subito alla scoperta. Erano agenti di cambio sul mercato estero: membri dell’Arte del Cambio. Erano famosi come gli ebrei di Venezia, facevano affari seduti ai tavoli nelle strade, proprio come gli ebrei. La loro banca ufficiale era vicina a Palazzo Cavalcanti, tra Porta Rossa e Via della Lana. Ferguson è affascinato dai Medici, da Giovanni Bicci de’ Medici che legittimò il potere della famiglia, divenne il manager del ramo romano della banca e a Roma costruì la sua reputazione di grande operatore finanziario. Quando morì, passò gli affari al figlio Cosimo, che aprì banche a Venezia e filali a Ginevra, Pisa, Londra e Avignone, creando una delle grandi dinastie europee, che dettero due regine alla Francia, ebbero tre papi, crearono splendore artistico e architettonico, arte della politica. Il sistema bancario italiano con i cambium per literas divenne il modello per le nazioni europee del Nord come l’Olanda, l’Inghilterra e la Svezia. I Medici furono protagonisti di questa grande rivoluzione e dimostrarono anche come fare affari e fare politica abbiano molto in comune.
Ora l’Occidente è per Ferguson in una grave crisi e può salvarsi solo con una rivoluzione che produca cambiamenti istituzionali, butti al mare il sistema fiscale e dimentichi il Welfare state del ‘900. Non esiste però per lo scozzese una destra europea dotata di una cultura adatta per una simile rivoluzione. La stessa Europa per lo storico di Glasgow deve decidere se diventare gli Stati Uniti d’Europa o il Sacro Romano Impero moderno, un banale pot-pourri di geometrie variabili che prima o poi finirà come la Serenissima Repubblica di Venezia, che quando dovette affrontare la battaglia più importante, perse in un sol giorno tutta la sua fortuna. Chissà, cosa avrebbe pensato Croce, che nella Storia come Pensiero e come Azione del ’38 fece della vitalità la matrice della storia. “La vitalità – scrisse – non è la civiltà e la moralità, ma senza di essa, alla civiltà e alla moralità mancherebbe la sua premessa necessaria… E la vitalità ha, coi suoi bisogni, le sue ragioni, che la ragione morale non conosce. Donde l’apparenza di recondito e misterioso nei suoi processi, lo sconvolgente e travolgente delle sue manifestazioni, e il suo imporsi come una forza che vale per sé, fuori del bene e del male morale”.