Impossibile per Bersani sfidare  un Veltroni che non sceglie

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Impossibile per Bersani sfidare un Veltroni che non sceglie

10 Luglio 2007

Due notizie
arrivano in contemporanea a dirci qualcosa di molto interessante sul futuro
Partito democratico. La prima riguarda la decisione di Walter Veltroni di non
firmare il referendum elettorale, la seconda la decisione di Pier Luigi Bersani
di non candidarsi contro lo stesso Veltroni alla guida del Pd.

Le due
notizie sono strettamente collegate, quasi da un legame conseguenziale. La prima
sarebbe da definire sbalorditiva se non provenisse da Veltroni. Il sindaco di
Roma ieri ha ricevuto una delegazione dei promotori del referendum elettorale,
preoccupati per le grandi difficoltà nel raccogliere le firme necessarie e per
la poca eco che l’iniziativa riscuote sui media. Seduti accanto al sindaco c’erano Guzzetta, Segni e Parisi, tutti  in trepidante attesa di un sostegno forte e
chiaro dall’uomo che in questo momento potrebbe essere, più di altri,  in grado di cambiare
le sorti del referendum. Veltroni prima li infiamma: “sostengo pienamente il
referendum contro questa legge elettorale che c’è e crea una crisi democratica e di sistema”;
poi li gela: “però non lo firmo per motivi di opportunità e per non creare
problemi al governo”. I tre escono dall’incontro increduli: Guzzetta e Segni
anche ammutoliti, mentre Parisi non crede a ciò che ha sentito: “E’ l’opposto
di ciò che serve al paese, è il vorrei ma non posso, Veltroni così fa il
candidato di tutti e di nessuno”.  

Eppure da
Veltroni era difficile aspettarsi qualcosa di diverso. Dire “sostengo il
referendum ma non lo firmo” è la quintessenza della “bella politica” politica
veltroniana: quella che sta di qua e di là, che cerca di non scontentare
nessuno accontentando un poco tutti, quella che evita le posizioni nette a meno
che non raccolgano già un consenso unanime. La sua trovata sul referendum non è
diversa dal tifare Juve e mettersi la sciarpa della Roma il giorno dello
scudetto. O dal dire “non sono mai stato comunista” dopo una vita nel Pci.

Veltroni è
ormai prigioniero di questo schema di comportamento. Non si spiega altrimenti
la sua insistenza nel reiterarlo anche quando esso rappresenta il principale
motivo di critica che persino i suoi alleati muovono contro di lui. L’occasione
della richiesta d’aiuto del comitato referendario era preziosa e il sindaco
avrebbe potuto coglierla proprio per smentire chi lo accusa di non saper
prendere posizione e di restare sempre in bilico sulle scelte controverse.
Invece Veltroni ha confermato la natura incurabile della sua sindrome: dire,
come egli ha fatto “non posso schierarmi perché nella maggioranza c’è chi è
favorevole e chi è contrario al referendum”, è esattamente l’ammissione di
questa incapacità ma anche la premonizione di uno stile di governo che
è esattamente il contrario di quello che Veltroni promette nelle sue performance teatrali e di cui il paese ha
bisogno.

E’ ovvio che
i piccoli partiti dell’Unione non avrebbero gradito la firma del candidato
leader del Pd su di un referendum che li danneggia. Ma se il Pd ha un senso e
il suo segretario un ruolo dovrebbero essere proprio quelli di superare i
ricatti e le rendite di posizione e proporre un progetto di rinnovamento al
paese. Veltroni con la sua non scelta ha scelto di smentire questa prospettiva.

Questo ci
porta dritti alla seconda notizia: Bersani ha scritto una lettera ai i molti
sostenitori della sua candidatura alla guida del Pd per dir loro che non se la
sente di correre contro Veltroni e che dunque sosterrà la lista del sindaco. Il testo
della lettera dice questo ma tra le righe si legge la delusione e l’amarezza
del ministro per come stanno procedendo le cose. Bersani avrebbe voluto
qualcosa di diverso che la corsa solitaria di Veltroni verso la leadership,
avrebbe voluto che le primarie apparissero almeno un cosa seria e non un
plebiscito, avrebbe voluto che i segnali innovativi lanciati con la nascita del
Pd non fossero inghiottiti dai fantasmi del passato.

Ma è
evidente che non aveva altra scelta. Non solo per le pressioni del suo stesso
partito, che non avrebbe apprezzato una sfida al candidato espresso dai vertici,
ma per la natura stessa dello scontro.
A Torino Veltroni aveva detto che avrebbe salutato con soddisfazione liste
alternative alla sua purché avessero espresso una piattaforma diversa. Ma
questo è esattamente ciò che Bersani ha ritenuto irrealizzabile. Come si fa
infatti a proporre un programma alternativo a Veltroni quando, perlappunto, la
sua posizione sul referendum consiste nel sostenerlo senza firmarlo. Forse si
dovrebbe firmarlo senza sostenerlo?

La trappola di Veltroni si è chiusa sul
primo dei candidati pronti ad insidiarlo: non c’è spazio per piattaforme
alternative quando non c’è alcuna piattaforma da sfidare. C’è solo Veltroni, la
sua corsa verso la leadership, la sua voglia di governare, il suo sistema di
potere. Chiunque voglia impegnarsi per una strada diversa deve sfidare tutto
questo, deve dire forte e chiaro: “Veltroni non è l’uomo giusto