In Abruzzo Veltroni non registra una sconfitta ma il totale fallimento del Pd
16 Dicembre 2008
Il rintocco della campana a morte ha squarciato il silenzio attorno al Nazareno dopo l’una di notte, quando le cifre che lentamente si andavano aggiornando sul sito del Viminale hanno certificato che anche l’ultima diga prima del tracollo – quella del 20% – era stata travolta.
Che il vento abruzzese soffiasse fetido per il Partito democratico lo si era già capito dalla metà del pomeriggio, quando, con un Gianni Chiodi saldo in testa, sergenti, capitani e colonnelli del centrosinistra avevano iniziato a dire che in realtà alle elezioni regionali non aveva vinto il centrodestra ma l’astensione. Ma quanto fosse violenta la batosta, al punto da dare alla testa al segretario del Pd, lo si è compreso senza più dubbi in serata, quando Walter Veltroni, vittima (volontaria) di una sudditanza al moralismo giustizialista dell’Idv che in Abruzzo ha raggiunto il parossismo, noncurante dei segnali di allarme che ancora ieri provenivano ad esempio da Nicola Latorre, ha imbracciato il microfono per dire che se c’è un terreno sul quale il Pd deve fare di più è quello della questione morale!
Evidentemente non sempre le legnate aiutano a comprendere gli errori e a non ripeterli in futuro. A nulla è servita, per Veltroni, neanche la lezione di stile che il presidente Gianni Chiodi gli ha dato dagli schermi televisivi quando, ormai certo della vittoria, ha rivendicato la sobrietà e la compostezza della campagna elettorale sua e del PdL, a fronte di una situazione che avrebbe consentito da parte del centrodestra ben altri toni. Niente da fare: devastato da una sconfitta che neanche i sondaggi più catastrofici lasciavano immaginare (il Pd non ha raggiunto neanche il 20%), Veltroni non ha trovato di meglio da fare che accelerare il passo lungo la strada della rincorsa a quel Di Pietro che con il suo abbraccio mortale lo sta trascinando verso il naufragio politico. Ha tentato di oscurare le percentuali drammatiche che giungevano da Pescara, dall’Aquila, da Teramo, da Chieti, agitando il ritornello della percentuale degli inquisiti in Parlamento. Mentre il segretario regionale del suo partito in Abruzzo, nonché sindaco di Pescara, finiva agli arresti domiciliari con una tempistica che nel centrodestra – garantista sempre e non a corrente alternata – ha suscitato più di qualche interrogativo, invece di affrontare la scena con un tardivo scatto d’orgoglio ha puntato il dito sulla questione morale, sperando che questo lo esonerasse dall’affrontare la vera questione, quella politica, che è alla base della cocente sconfitta abruzzese.
Non è stato comunque esentato. L’esame di coscienza, tardivo, parziale ed evidentemente imbarazzato, è arrivato nel corso dell’assemblea dei parlamentari del suo partito. Veltroni ha parlato di "un risultato particolarmente negativo che va guardato in faccia", e che "mi fa sentire maggiormente la necessità di fare ancora di più per il Pd, e mi fa sentire la responsabilità di non aver reso, tutti insieme, evidente e chiaro cosa nel Pd può esserci di nuovo", perché "ogni volta che il vecchio si aggrappa ai nostri piedi il Pd paga un prezzo". Chi ha seguito dall’inizio la vicenda abruzzese, in realtà, fatica a ricordare strenue resistenze di Veltroni mentre il "vecchio" cercava disperatamente di aggrapparsi ai piedi del Pd. Ma pretendere un’ammissione di colpa in tal senso sarebbe chiedere troppo.