“In Afghanistan dobbiamo finire il lavoro iniziato”
28 Luglio 2008
“L’Iran deve accettare la proposta del gruppo 5+1 sull’interruzione del programma d’arricchimento dell’uranio” e sull’Afghanistan “è una guerra che deve essere vinta. Dobbiamo finire il lavoro iniziato!”. Questo è ciò che Barack Obama ha affermato nella conferenza stampa all’Eliseo del 25 luglio, dove il candidato democratico alle presidenziali USA è stato ospite del Presidente francese Nicolas Sarkozy.
Parigi è stata più discreta di Berlino nell’accogliere Obama. Nessun bagno di folla, nessun palco che potesse minimamente riecheggiare quello offerto dalla Kanzlerin Angela Merkel sulla Siegesaulle della capitale tedesca e soprattutto nessun discorso rivolto ad una “broad european audience”, insomma a tutti noi europei.
Tra Sarkozy e Obama solo un breve incontro nel tardo pomeriggio (poco più di un’ora), seguito da una “mondanissima” conferenza stampa all’Eliseo, il tutto prima che il candidato afro-americano s’involasse per Londra dal premier britannico Gordon Brown.
All’incontro dell’Eliseo, accanto a Bernard Kouchner e Jean-David Lewitt, rispettivamente ministro degli affari esteri francese e consigliere per la politica estera di Sarkozy, hanno preso parte alcuni tra i consiglieri di politica estera del candidato americano: Tony Lake, Philip Gordon e Susan Rice. Una triade composita ma accomunata da una storia comune: tutti e tre hanno servito sotto le presidenze di Bill Clinton. Tony Lake è stato consigliere per la sicurezza nazionale durante il primo mandato clintoniano, Philip Brown è stato responsabile degli affari europei nel National Security Council durante tutta l’era clinton e infine Susan Rice, la quale ha servito durante le due amministrazioni clintoniane dal dipartimento di Stato. Susan Rice (nessuna parentela con Condy Rice), è data per favorita nella corsa all’incarico di National Security Advisor (consigliere per la sicurezza nazionale) qualora Obama vincesse effettivamente le prossime elezioni presidenziali USA.
Durante i colloqui Sarkozy-Obama, molti sono stati i dossier affrontati: oltre ai già menzionati dossier iraniano e Afghanistan, anche la situazione irakena, il possibile rilancio di una Difesa Comune Europea e lotta contro il surriscaldamento terrestre.
Sul dossier afghano si sono verificate le maggiori convergenze politiche tra i due uomini politici. Obama durante la conferenza stampa si è spinto a dichiarare che almeno due brigate suppletive (dunque circa diecimila uomini in più) dovrebbero essere dispiegate per affrontare la crescente pressione, imposta alla missione ISAF dalla guerriglia talebana sul fronte pakistano. Pur avendo indirettamente riconosciuto la buona riuscita della tattica del ”surge” di Petreaus in Iraq, per quanto ormai vincolato ai propri “balletti” su “ritiro” e “reimpiego” delle forze USA dal teatro irakeno (non più ritiro nel 2009, ma forse neanche nel 2010, ridispiegamento, chissà?), Barack Obama gioca sull’Afghanistan la sua credibilità di candidato presidenziale nella guerra al terrorismo. Una dovizia di particolari, quella regalati alla stampa presente all’Eliseo, che mal si concilia con la dichiarata parola in sola veste di senatore americano.
Il Presidente Sarkozy, dal canto suo, ha confermato che il governo francese invierà maggiori mezzi e truppe in Afghanistan. Non ha mancato di ricordare quanto le forze ISAF in Afghanistan “non abbiano il diritto di perdere”. Secondo il Presidente francese si tratta di una battaglia per “l’affermazione dei diritti umani, contro il terrorismo, contro il fondamentalismo” affinché “le donne non debbano più subire mutilazioni per il solo fatto d’aver indossato smalto sulle unghie”.
Sul dossier nucleare iraniano, per quanto declamatorie possano apparire le rassicurazioni a sostegno del lavoro diplomatico europeo, Obama mostra debolezza quando si sottrae alla declinazione di possibili azioni coercitive nei confronti del governo degli Ayatollah. Qualora le blande richieste europee fossero disattese o, peggio, ignorate, cosa accadrebbe? E Israele? Obama non ignora che i leader politici israeliani (incontrati durante la sua visita in Israele pochi giorni fa) attribuiscano alla minaccia iraniana “la più alta priorità” legata alla sopravvivenza stessa del loro Stato. Mentre per gli USA di Obama si tratterebbe solo di una “importante questione”. Una bella differenza di cui Obama sembra essersi finalmente accorto, dopo le improvvide proposte di dialogo promosse durante le primarie democratiche, pochi mesi or sono. Sarkozy pare abbia richiamato Obama a mantenere un forte “impegno” sulla sicurezza israeliana. “Il mondo ha bisogno di un governo statunitense impegnato” ha ricordato il presidente francese.
All’Eliseo, Obama ha descritto le due vie su cui si dovrebbe muovere la sua politica estera, qualora fosse effettivamente eletto: “consensus building” e “national interest”. Due principi che mal si conciliano e che, ciononostante, il presunto candidato democratico sembra voler far coesistere nel proprio programma.
Sul “global warming”, Obama ha chiarito che, qualora eletto, il dossier riceverà la “più alta priorità” nel quadro dell’azione del suo governo. Il senatore ha a questo proposito richiamato i governi delle economie emergenti, in particolare India e Cina, a sentirsi maggiormente coinvolte dalle politiche di lotta al surriscaldamento terrestre.
Non ultime in termine di importanza, le questioni relative alla riforma istituzionale ONU, alla promozione di un capitalismo “che non lasci indietro nessuno “, insomma una specie di economia di mercato sociale su scala globale. Tanti buoni propositi che vivono, e vivranno ancora per molti mesi, sotto la minaccia concreta di non poter vedere mai la luce. Insomma una spada di Damocle, che solo l’elettorato statunitense potrà rimuovere.