In America i dati economici sono positivi ma nessuno ci crede

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In America i dati economici sono positivi ma nessuno ci crede

04 Novembre 2009

Ormai da molto tempo i dati economici hanno incominciato a dare segnali positivi ma è anche da un bel po’ che i consumatori, gli imprenditori e gli inquilini della Casa Bianca continuano ad essere altrettanto cupi e preoccupati. Vale quindi la pena chiedersi il perché di questa distinzione tra i fatti e la loro percezione, che sta dominando le notizie economiche.

Iniziamo con i dati. L’economia americana è cresciuta del 3,5% annuo nel terzo quadrimestre (secondo le previsioni preliminari). Un sondaggio della Federal Reserve Bank sulle condizioni delle attività commerciali rileva che ci sono “sia indizi di stabilizzazione che modesti segnali di miglioramento in molti settori” e che “i rapporti sui profitti nell’attività economica superano di gran lunga le perdite”. Poi prosegue con i soliti avvertimenti sul fatto che i miglioramenti avvengono ai livelli più bassi e che c’è sempre il rischio di ricadute, ma in generale le notizie sono sempre migliori di quelle che sono state diffuse negli ultimi tempi. 

Anche gli economisti della Bank of America Merrill Lynch sono d’accordo: “I dati più recenti fanno presagire una crescita generale modesta ma anche più elevata”. Così come fanno i dipendenti della Goldman Sachs, forse spinti ad essere eccessivamente ottimisti visti i loro bonus impressionanti: “Continuiamo ad essere convinti che il peggio della crisi è alle nostre spalle. L’economia globale si è stabilizzata e l’attuale recupero è sostenibile. Se è pur vero che ci sono ancora alcune minacce alla ripresa, crediamo che ci siano basse probabilità che una di esse faccia deragliare la crescita americana”.
Persino il gruppetto dei più pessimisti del Coutts, che credono  che la ripresa globale rimane comunque fragile, ammettono che “il clima finanziario è migliorato notevolmente”. Ed è proprio così: non a caso quest’anno sono stati venduti corporate bonds dominati dal dollaro che valgono più di 1.000 miliardi, un vero e proprio record. 

Le vendite al dettaglio stanno dimostrando una certa forza e, nonostante nell’ultimo mese le vendite di nuovi immobili siano cadute, gli inventari sulle case rimaste invendute rimangono molto al di sotto del loro massimo; la vendita delle abitazioni già costruite sta crescendo, così come i loro prezzi. Per di più, una sempre maggiore quantità di notizie provenienti dal mondo delle aziende indica un trend positivo: la IBM, per esempio, ha così tanta fiducia nel fatto che il business migliorerà che sta aumentando i prezzi per comprare le sue azioni; Verizon Wireless, la compagnia appartenente per il 45 per cento alla Vodafone, ha registrato il maggior incremento dal 2005 tra la sua clientela base; e – dato ancora più rilevante – la Caterpillar, l’azienda più grande al mondo che produce attrezzature per la costruzione, sta segnalando un ritorno nei settori del manifatturiero e della costruzione e sta ridando lavoro ad alcuni dei 34mila lavoratori che aveva licenziato.

Niente di tutto questo sembra avere alcun effetto sulle menti degli imprenditori con cui parlo, i consumatori di cui leggo, o sulla stessa Casa Bianca. Gli uomini d’affari normalmente tendono a guardare molto più avanti rispetto alla maggior parte di coloro che partecipano della vita economica di un Paese – anche perché i consumatori si preoccupano di riuscire a pagare l’affitto o il mutuo alla fine del mese e i politici si preoccupano piuttosto dei sondaggi del giorno dopo. I dirigenti aziendali sanno che le prospettive sui profitti stanno migliorando, ma sono preoccupati che questi segnali di ripresa derivino più dai tagli ai costi che dall’incremento della domanda. I grossi imprenditori hanno anche paura che ci sia una nuova crisi bancaria. Vedono un’amministrazione e un Congresso che sta portando l’America ad avere un debito talmente alto che il dollaro continuerà a diminuire il suo valore, obbligando la Fed ad aumentare i tassi d’interesse per prevenire il collasso della divisa.

Alcuni dirigenti si aspettano che il prezzo dell’oro raddoppi o si triplichi nei prossimi 5 anni, i tassi di interesse passino dall’attuale valore vicino allo zero all’8 per cento, e che le tasse salgano alle stelle per tenere sotto controllo il deficit. Inoltre, credono che il presidente Obama non ha bisogno dell’economia di mercato, perché preferisce invece trasformare il management del Paese in una serie di “zar” che diano ai banchieri la loro parte, controllino l’industria automobilistica domestica, rilevino il settore della Sanità, ed ora rilascino circa l’85 per cento delle ipoteche degli Stati Uniti.

I proprietari delle piccole aziende,  invece, sono più preoccupati per il nuovo piano di copertura sanitaria da 1.000 miliardi di dollari, che farà aumentare i costi del settore sanitario, e per le nuove tasse imposte direttamente sui gruppi economici entro i quali normalmente rientrano i piccoli imprenditori. Quindi, loro non espanderanno la propria azienda né impiegheranno nuovi lavoratori.
Ed è proprio per questa ragione che la Casa Bianca è così infelice.

L’unico indicatore che importa al presidente sono gli occupati, il lavoro e il lavoro. Il tema sul quale interroga ogni giorno il suo staff. E si tratta di un’altra maniera di dire voti, voti e voti. Gli ultimi sondaggi dimostrano che, negli ultimi sei mesi, la percentuale di americani che approvano la gestione dell’economia di Obama è passata dal 58 al 50 per cento, quelli che sono d’accordo su come si sta comportando con il deficit  sono passati dal 49 al 40 per cento, e ben il 67 per cento crede che “è impossibile” che il piano di assistenza sanitaria non porti all’aumento del deficit. Nonostante tutto questo, il presidente rimane popolare dal punto di vista personale. Obama vorrebbe che rimanesse così e sta prendendo in considerazione un programma che fornirebbe crediti d’imposta ai datori di lavoro in grado di creare più posti di lavoro.

I consumatori  sono il terzo gruppo di insoddisfatti, completando la cupa troika del business della politica e dei consumatori. La caduta di fiducia dei consumatori in Ottobre è scesa per il secondo mese consecutivo e non è una sorpresa considerando la debolezza del mercato del lavoro, e la ragionevole paura della maggioranza degli americani che sono soddisfatti delle loro assicurazioni sanitarie e temono che il Piano Obama possa ridurre i loro benefici e i premi assicurativi possano alzarsi.

Il ritorno alla crescita dell’ultimo trimestre forse potrebbe essere sostenuto nel breve e medio termine. L’inventario sugli edifici in costruzione, un aumento delle esportazioni determinato dalla perdita di valore del dollaro, le misure di stimolo alla liquidità che è solo un punto di partenza per dare un colpo all’economia, e altre misure di spesa stabilite dal Congresso con un occhio alle elezioni di Novembre, dovranno combinarsi per produrre la crescita. Sul lungo periodo, tuttavia, il pessimismo del mondo degli affari sembra giustificato: la Casa Bianca e il Congresso sono dominati da politici che comprendono solo in piccola parte cosa rende sostenibile la crescita di una economia, e che hanno mostrato di avere una vera e propria devozione per le politiche “tass-e-spendi” che sono di pessimo augurio per il futuro del dollaro come una moneta in grado di preservare le riserve correnti, e per le prossime generazioni che si troveranno a dover pagare le leggi che Obama si lascerà dietro.

Tuttavia, ciò che i politici hanno creato, potrebbe essere fatto a pezzi da altri politici. I problemi, che sembrano così numerosi, e così nefasti, sono ribaltabili. Come diceva Lawrence D’Arabia per persuadere i suoi fatalistici alleati arabi, “Nulla è scritto”. 

Tratto da The Sunday Times

Traduzione di Fabrizia B. Maggi